“The framers of the Constitution of the U.S. believed that the direct popular election of the president was both impractical and undesirable.
They therefore provided for an indirect election by special electors, who were intended to be a select body of individuals possessing a broader acquaintance with men and a better understanding of national issues than the ordinary voter. The Constitution provides that each state shall appoint a number of electors equal to the state’s quota of senators and representatives in Congress. Since the adoption of the 12th amendment (1804) the choice of the president and the vicepresident as thus provided has become mere form.”.
Questo recita a pagina 1474 l’indiscutibile ‘Lincoln Library of ‘Essential Information’, edito a Buffalo, N.Y.: sono oltre due secoli che la venerabile Costituzione esige ‘a mere form’. La Costituzione di casa nostra (‘la più bella’ a parere di alcuni belli umori) non è sola a bisognare di svecchiamenti.
Gli americani dovrebbero riconoscenza a quel Donald Trump che minaccia di sovvertire un po’ la maestosa Costituzione. Se sovvertisse davvero, gli americani spererebbero di vedere razionalizzata almeno una delle procedure elettorali, fitte persino di traversie di contea. C’è di più. Un elefantiaco 35% degli iscritti all’anagrafe stellata sono contraddistinti dalle seguenti origini etniche: afro 12,5%, messicana 10,9, italiana 5,5, polacca 2,8, portoricana 1,6, cinese 1,2, indiana d’Asia 1%. Nei retaggi nazional-psicologici di tali minoranze non può che mancare in pieno l’orgoglio dei tempi (fine sec. XVIII) quando l’Unione non esisteva, esistevano le colonie che si ribellavano a Giorgio III. Ciascuna, tronfia della propria autonomia, esigeva d’avere titolo a una propria delegazione che votasse il successore di George Washington (che peraltro alcuni avevano tentato di fare Re, magari col diritto di trasmettere la corona a un figlio o nipote).
Per un poloamericano, per un afroamericano, etc. il ricordo delle colonie fondatrici è la Luna. E’ la Luna anche per una parte delle altre minoranze: inglesi irlandesi scozzesi tedeschi scandinavi, che sono i Quiriti d’America. Il 35% dell’anagrafe ritiene di eleggere un presidente, non un delegato ad eleggere un presidente. Il Nord America multilaterale, multietnico, somigliante a un’assemblea dell’Onu, gli ateniesi l’avrebbero chiamato meteco; in ogni caso, sprovvisto di ascendenze coloniali.
Quando l’informe, smisurata Polis statunitense rinsavirà, si accorgerà del ridicolo di un ‘Electoral College’ che si sveglia ogni quattro anni da un letargo più che bisecolare. Probabilmente ne proclameranno la morte, aggiungeranno un piccolo trionfo al suffragio universale, da tanti di noi esecrato. Sarà pur sempre meglio della via italiana per nominare il sommo bonzo del Quirinale. La via italiana è che i capi-oligarchi dei partiti dell’arco costituzionale impieghino due o tre anni a calcolare vantaggi e inconvenienti (per ciascuna componente della Casta) di ogni possibile scelta. Ovviamente i bisogni e i sentimenti della popolazione risulteranno completamente ignorati. Negli USA le segreterie dei partiti è come non esistessero. In compenso si confrontano e fanno più combutta che da noi i gruppi d’interesse, cominciando dai grandi media. In ultima analisi, è il dollaro a decidere. Sentenziò Marcus Alonzo Hanna, nell’Ottocento sommo manovratore pubblico: “Due cose contano in politica: la prima è il dollaro, la seconda non ricordo”.
Così continuerà in Occidente finché un giorno non prevarrà questa o quella formula di democrazia semidiretta e selettiva. A quel punto il ruolo paramonarchico del capo dello stato essiccherà; sparirà. Altro che mandati quadriennali o settennali. Sulla prima delle alte poltrone siederanno a brevi turni i decisori veri. I quali ultimi preferiranno lasciare a personaggi marginali le mansioni cerimoniali e di rappresentanza: ricevere scolaresche e ambasciatori, deporre corone, visitare terremotati, lanciare futili allocuzioni di fine anno, felicitarsi con pari-grado insediati in altre capitali. Per ora l’uomo della Casa Bianca è un decisore vero. Infatti gli ambasciatori di pura prosopopea li fa ricevere dal segretario di Stato.
Antonio Massimo Calderazzi