Questo è un compianto per le nazioni che furono governate da grandi uomini (a volte però i grandi uomini non erano molto potenti, non ebbero modo di compiere abbastanza crimini: per esempio quanti morti, mutilati, vedove e orfani fece Camillo Benso di Cavour con la sua Crimea e con le campagne estive tra Ticino e Mincio?) Ci sono dunque due-tre genìe di grandi uomini. Quelli davvero micidiali, autentici macellai di popoli, dominarono vasti imperi, e li coprirono di abbastanza glorie da distruggerli; si veda Hitler. A cavallo tra i secoli XVIII e XIX operatore insuperato di sciagure fu Napoleone. Il suo effimero impero fu soprattutto battaglie, cioè stragi. Quanto più clemente sarebbe stata la storia di Francia e d’Europa se il Corso e il suo clan isolano di parenti non si fossero immaginati dinasti da soppiantare Capetingi, Valois, Borboni e Orleans?
Tacendo dunque sui malfattori supremi, sui Satana che fecero le due guerre mondiali (non solo gli ovvi imperatori e i loro consiglieri e marescialli; ci furono purtroppo i farabutti espressi dal basso, dalle urne e dalle cloache parlamentari). Nel campo occidentale i peggiori operatori del male furono, tra il 1914 e il 1919, i francesi Raymond Poincaré e Georges Clemenceau. Il primo volle fortissimamente le ecatombi, per abbietto revanscismo; il secondo allungò deliberatamente la strage (nel momento che Berlino e Vienna andavano rassegnandosi a non vincere, Clemenceau proclamò che rifiutava la pace se essa non portava la Victoire). Ai due francesi si allineò Woodrow Wilson, campione delle nobili cause ma primo artefice dell’eccidio che riprese nel 1939. Mai Hitler avrebbe trionfato in Germania se Wilson e Clemenceau non avessero tramato il trattato di Versailles. Non avremmo avuto la seconda guerra mondiale.
Non potrebbe suscitare più orrore la gloria che si usa tributare a Winston S. Churchill. Sul pianeta non c’è manuale della scuola dell’obbligo, non c’è racconto d’intrattenimento, non c’è agiografia, non c’è telefilm che non incoroni l’antico condottiero dell’impresa dei Dardanelli: il Leone del rifiuto al Reich. Eppure la realtà è inesorabile: a valle dell’opera di Churchill il primato mondiale della Gran Bretagna e il suo impero smisurato si spensero. Sopravvivono i difetti e i limiti dei britannici: nostalgia della grandezza e mania delle tradizioni.
E’ certo che il Führer tentò in più modi di raggiungere un compromesso con Londra. E’ verosimile che il conflitto tra Berlino e Londra si sarebbe fermato se il Churchill ultrabellicista non si fosse considerato l’incarnazione dell’onore e della maestà della Gran Bretagna. L’onore fu salvato (soprattutto per gli apporti colossali di Unione Sovietica e Stati Uniti), il primato imperiale no. L’intransigenza di Churchill cancellò quasi tutto. Restò, odiosa, l’aureola dell’accanimento guerrafondaio.
Diverso sarebbe il discorso su Churchill se davvero egli fosse venuto a sapere con certezza, e per tempo, dell’Olocausto e degli altri orrori dei campi di sterminio. In tal caso Churchill meriterebbe una parte di tanta gloria. Invece, per quel che sappiamo, non possiamo che concludere: nell’estate 1940 lo Hitler trionfatore a occidente e volto a gettarsi sull’Urss si sarebbe contentato, per allontanare il calice velenoso del conflitto coll’intero pianeta anglosassone, di un paio di colonie ex germaniche. Per quel che sappiamo, Winston Churchill non si votò ad esigere la guerra per l’imperativo morale di fermare il Male. Lo fece perché la Germania si era eretta a sfidante del mondo demoplutocratico, in particolare perché col Giappone minacciava l’Impero britannico.
Churchill, discendente del più celebrato tra i generali britannici del passato, il duca di Marlborough, portò agli estremi la logica del bellicismo, o dell’intransigenza. Il suo fondamentalismo patriottico fu micidiale per l’impero e per la grandezza.
Pochi altri statisti costarono ai propri popoli quanto il Nostro. Tuttavia è sostenibile che altrettanto danno fece alla Francia il corteggio di governanti guerrafondai del Novecento, escluso De Gaulle. Il corteggio: Raymond Poincaré (nel 1914 coronò il proprio sogno di una guerra atroce per recuperare una regione e mezza perduta per l’insipiente bellicismo della Parigi del 1870); Georges Clemenceau (nel 1917 allungò di un anno il conflitto mondiale, laddove Berlino e Vienna erano sul punto di accettare la fine delle proprie ambizioni del 1914. Nel 1919 Clemenceau fu, col maresciallo Foch, il più oltranzista dei fautori della vendetta antitedesca, vendetta che consegnerà la Germania a Hitler. Chiudono il corteggio gli scervellati governanti parigini che nel 1939 valutarono di dover seguire Londra in una guerra al Terzo Reich che in pochi mesi azzererà la Francia.
Due statisti statunitensi furono divinizzati per aver fondato l’impero degli USA grazie a due grandi conflitti. Sono tuttora esaltati dall’ecumene planetario dei progressisti per avere, l’uno nel 1912 l’altro nel 1932, sgominato in patria i repubblicani biechi conservatori e ciechi isolazionisti. Ma il Vietnam, più altre imprese post-colonialistiche, più i cronici tumulti neri, hanno dimostrato che l’Impero americano è nato Basso, cioè condannato a finire.
Esiste una vasta letteratura in merito all’assenza di motivazioni umanitarie nell’azione del Premier britannico. Risulta sicuro che volle abbattere il Reich da ben prima che l’infallibile Intelligence britannica informasse i vertici del governo sull’avvio dei crudeli programmi nazisti. Le atrocità finali non cominciarono prima che Hitler occupasse le regioni polacche assegnategli dall’accordo con Stalin, Una parte della letteratura storica verte in particolare sul cosiddetto “silenzio degli Alleati” su sterminio degli ebrei e altri grandi crimini nazisti. Silenzio che cessò solo nel 1945, quando i Lager di Hitler furono occupati dagli alleati, soprattutto dall’Armata rossa, un buon dieci anni che a Londra Churchill si mettesse a capo del partito della guerra. Tra altre congetture c’è che la propaganda alleata -inglese in particolare- intese non incorrere nelle deformazioni nella Grande Guerra a proposito dei cosiddetti crimini germanici in Belgio e in Francia.
Non necessita di altre parole il bellicismo degli altri ‘Grandi’ del Novecento: Hitler, Stalin, Mussolini, i capi del Sol Levante, Mao Tse Tung, Chang Kai Shek, e degli altri protagonisti di ogni altra guerra o rivoluzione del secolo XX e del primo ventennio del Duemila. P.es., quanto costò ai cinesi la gloria -pur maculata dalla dura carnevalata della Rivoluzione Culturale- di Mao Tse Tung? Quest’ultima domanda vale anche per Ho Chi Min, padre del moderno Vietnam, il cui insegnamento generò il trionfo sui ciclopici USA.
Questo per i fini di Londra e Berlino, i due antichi egemoni della scena europea (la Francia finita). Alla ricerca di uno statista che non abbia fatto troppo male al proprio paese, meglio andare (con circospezione) in Finlandia. La nazione dei lamenti sinfonici di Jan Sibelius ha avuto la sua parte di combattimenti, più o meno epici. Ma sotto il maresciallo Gustav Mannerheim poteva andarle peggio. Mannerheim, nobile di ceppo svedese o meglio svevo-tedesco, capeggiò il passaggio all’indipendenza al crollo dell’impero zarista (gli zar erano granduchi di Finlandia).
Un gruppo di fautori tentò di fare Mannerheim ‘Re in Helsinki’; il Nostro, che era stato il massimo generale della cavalleria russa, si contentò d’essere Reggente tra il dicembre 1918 e il luglio 1919. Senza successo provò a realizzare una ‘fusione militare’ con la Svezia. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre Mannerheim avversò la fazione finnica dei bolscevichi: senza legarsi troppo ai Bianchi russi (i quali negavano l’accesso all’indipendenza dell’ex granducato). Mannerheim, già reggente, mantenne di fatto, con qualche parentesi, il potere. Coagulò attorno a sé le forze di destra; mai si proclamò dittatore; promosse lo sviluppo economico e una modernizzazione che avvicinerà la Finlandia ai livelli scandinavi.
Quando nel 1939 l’Urss mosse la ‘guerra d’inverno’ per togliere territori all’ex-granducato soprattutto in Carelia, Mannerheim comandò il suo piccolo esercito con risultati che suscitarono vasta ammirazione: per un po’ Londra e Parigi giocarono a studiare un intervento armato contro i sovietici. Quando però la disfatta finnica apparve ineluttabile, il maresciallo non si ostinò: chiese l’armistizio. Riprese le armi contro Mosca quando il Reich invase l’Urss; peraltro non integrò le sue poche divisioni nella possente macchina della Wehrmacht. E’ molto noto che quando il maresciallo compì 75anni, il Führer si presentò in persona, col suo stato maggiore, al quartier generale finnico, il finlandese gli fece fare anticamera per due intere ore. Poi declinò la richiesta che stava a cuore a Hitler: che le forze di Mannerheim affiancassero la Wehrmacht nello sforzo per conquistare Leningrado. Nel 1945 la disfatta germanica non travolse il maresciallo: le condizioni di pace di Mosca furono relativamente benigne. Nel tardo 1945 Mannerheim fece come il collega Badoglio: volse le armi contro i tedeschi che si ritiravano verso Nord. Fu la terza ‘piccola’ guerra (denominata ‘di Lapponia’) di Mannerheim. Divenuto nel frattempo presidente ufficiale della repubblica, il maresciallo accolse nel suo governo un ministro comunista, così sanzionando una lunga, dignitosa sottomissione a Mosca. Poco dopo (marzo 1946) Mannerheim si dimise per motivi di salute.
Morì nel 1951: per la Finlandia aveva più volte perseguito il male minore.
Antonio Massimo Calderazzi