Negli ultimi anni dell’Ottocento sembrava suonata l’ora della fine per l’Impero di Mezzo. Per cominciare, la Gran Bretagna ne dominava l’economia -quasi i tre quarti del commercio e della navigazione- e si era insignorita di regni che erano stati satelliti di Pechino: il Tibet, sottomesso alla Cina nel 1751, e la Birmania. Londra cominciò a prendere quest’ultima nel 1853: la aggiunse al proprio impero nel 1886. Nel 1897 gli inglesi ottennero la rettifica che chiedevano alla frontiera birmana, come pure il diritto di estendere le ferrovie fino allo Yunnan cinese ‘quando fosse arrivato il momento opportuno’. Vincendo due ‘guerre dell’oppio’ la Gran Bretagna umiliò duramente l’Impero Celeste, aprendo una lunga fase di trattati ineguali per i quali i cinesi subivano vari soprusi.
La Francia completava l’impossessamento dei regni dipendenti d’Indocina (Vietnam, Laos, Cambogia); anche se, come scrive lo storico di Harvard, William L. Langer, “sarebbe ingiusto imputare ai francesi di aver dato l’esempio per lo smembramento della Cina (…) Peraltro furono in testa nello strappare concessioni”.
La Russia zarista mirava tra l’altro a costruire un grande porto sul Pacifico, da raggiungere con una ferrovia attraverso Manciuria e altre regioni cinesi. In più aveva l’ambizione di scalzare la Gran Bretagna dal controllo delle risorse economiche dell’Impero Celeste. Nel 1689 Pechino era riuscita a contenere l’aggressività dei russi estromettendoli dal bacino dell’Amur (Heilong Jiang in Cinese, река Амур in Russo).
Il Giappone aveva da poco sgominato la Cina con una guerra per preparare l’impossessamento del regno di Corea, satellite della Cina. L’impossessamento riuscì; Pechino dovette pagare un pesante risarcimento bellico. Il trattato di Shimonoseki decretò il distacco immediato della Corea dalla Cina; in più quest’ultima cedette al Giappone la penisola di Liaotung (Liaodong), la grande isola di Formosa e le Pescadores (Penghu). Conclamata la debolezza della Cina, la Russia ottenne diritti ferroviari in Manciuria; la Germania si assicurò il possesso di Kiaochow (Jiaozhou); la Francia guadagnò Kwan-Chow Wan (Guangzhouwan); la Gran Bretagna si assicurò l’affitto di Weihaiwei (Weihai) e l’allargamento della colonia di Hong Kong.
La Germania fu la meno rapace tra le Potenze intente a depredare l’Impero cinese. E’ quasi certo che nelle stanze romane dove si faceva diplomazia velleitaria e si progettavano imprese coloniali, non mancarono personaggi che farneticavano di anticipare i giorni gloriosi di Tientsin (Tianjin), quando reparti scelti sabaudi avrebbero punito le aspirazioni dei rivoltosi Boxer. Tientsin, oggi vari milioni di abitanti, era il secondo porto della Cina. Fu occupata militarmente da Gran Bretagna e Francia nel 1860; successivamente vi ottennero concessioni territoriali il Giappone, la Germania, la Russia, l’Austria-Ungheria, il Belgio, persino l’Italia. Finché nel 1911-12 la dinastia mancese crollò e Sun Yat Sen (Sun Yi Xian) divenne presidente della neonata Repubblica cinese.
I piani di rapina delle Potenze non erano i mali più gravi del Paese. Esso aveva un bisogno disperato di modernizzarsi, di darsi vaste riforme di struttura (che apparivano impossibili: l’intero sistema era marcio). In più, in quegli anni di pericolo estremo infuriava la corruzione dell’alta burocrazia mandarinale e dei circoli di potere. Di Li Hung Ciang (Li Hong Zhang), una specie di vicerè o di potente maestro di palazzo, si sapeva che fosse divenuto ricchissimo -uno dei patrimoni privati più cospicui al mondo- intascando tangenti anche ai livelli sommi della politica internazionale. Era risaputo in particolare che i vertici diplomatici di San Pietroburgo avevano istituito un fondo segreto (non abbastanza segreto) per guadagnare agli interessi russi sia Li Hung Ciang, sia altri esponenti dell’alto mandarinato. In una specifica occasione i russi offrirono al reggente Li un milione e mezzo di dollari. Anche la dispotica Imperatrice-madre partecipava ai proventi della grande corruzione. Quando il Reggente fece ritorno da una fase di negoziati con le Potenze, Sua Maestà provò ad esigere la sua parte -si parlò di 800 mila dollari- delle ‘dazioni’ straniere.
Il 4 maggio 1895, poco dopo la fine della guerra sino-giapponese, il primo ministro britannico Lord Rosebery ammise in un discorso alla Royal Academy che la questione estremo-orientale, prima di tutto il destino della Cina, era talmente grave (‘troppo complessa per la nostra immaginazione’) che ‘dobbiamo ridimensionarla onde correre ai ripari’.
Il disegno londinese di usare la Cina come difesa contro le vaste ambizioni asiatiche della Russia si rivelava sbagliata. Negli anni 1896-97 San Pietroburgo raggiunse, coll’appoggio di Parigi, il massimo dell’influenza a Pechino. Nessuna potenza le stava alla pari. Dunque un secolo e mezzo fa, più o meno, era la Cina il Malato d’Asia, dal corpo quadruplo di quello del Malato del Levante su cui regnava il Sultano turco.
Le Potenze si preparavano a dividersi l’eredità.
Oggi la repubblica imperiale e ‘comunista’ di Xi è la superpotenza che compete con gli USA. Un suo dittatore ‘vero’ sarebbe onnipotente.
Come non chiederci cosa accadrebbe se uno degli spietati massacratori novecenteschi di popoli -risalendo nel tempo: Hitler, Stalin, Mussolini, i militaristi giapponesi, F.D.Roosevelt, Churchill, Raymond Poincaré che più di ogni altro volle la Grande Guerra, Clemenceau che la allungò di un anno, i pessimi consiglieri dello zar Nicola, i nanogovernanti della Serbia, gli arciduchi e i diplomatici viennesi, gli altri- cosa accadrebbe se uno dei mostri qui elencati risorgesse a Pechino invece che altrove?
A.M.Calderazzi