Charles A. Beard, storico della Columbia University, fu uno degli innovatori del pensiero americano nella fase che precedette il New Deal e gli dette forma teorica. Gli altri innovatori ( sostiene Morton White di Harvard in “La rivolta contro il formalismo”) -furono il filosofo John Deway, il giurista Oliver Wendell Holmes, lo storico- divulgatore James Harvey Robinson, e l’economista e sociologo Thorstein Veblen.
Quando scrisse il suo importante saggio “American Foreign Policy in the Making” (nel 1948 pubblicato in italiano da Longanesi, col titolo “Storia delle Responsabilità”), Beard si impegnò in particolare a scandagliare equivoci e mistificazioni della dialettica tra isolazionisti e interventisti Usa tra le due guerre mondiali. Mise soprattutto in risalto, nelle elezioni presidenziali del novembre 1940, la singolare ma ingannevole affinità delle posizioni programmatiche dei due candidati alla Casa Bianca, Franklin D. Roosevelt (uscente) e Wendell Willkie (repubblicano).
Entrambi i candidati proclamavano di voler tenere gli Stati Uniti fuori del secondo conflitto mondiale. Entrambi garantivano che, se eletti, mai avrebbero mandato gli americani a combattere oltremare. Nella realtà Willkie ribadiva la linea neutralista del suo partito (GOP), che rispecchiava il sentimento allora isolazionista della netta maggioranza degli americani. Invece Roosevelt, che voleva il terzo mandato presidenziale e che parteggiava per la Gran Bretagna -dopo avere parteggiato per la sconfitta Francia- si costringeva a promettere agli americani la stessa pace di Willkie, nei fatti attuando però la linea ‘internazionalista’ del presidente Wilson, linea che nel 1917 aveva portato all’intervento degli Stati Uniti nella Grande Guerra. Nell’Amministrazione Wilson il trentunenne Roosevelt era stato segretario alla Marina, realizzando la forte espansione della flotta.
Nel 1914 aveva tentato di proporre l’immediato intervento in guerra dell’America: Wilson aveva dichiarato quest’ultimo prematuro: non siamo pronti.
Che nel 1940 il pacifismo del presidente ‘incumbent‘ fosse menzognero risultava dalla sua generale solidarietà con la crociata delle democrazie contro i regimi totalitari. Nell’estate aveva già ceduto alla Gran Bretagna, duramente impegnata sui mari, 50 cacciatorpediniere della flotta USA, giustificando la violazione della neutralità ufficiale col vantaggio di acquisire da Londra, per 99 anni, una serie di basi nel Nuovo Continente. Roosevelt aveva preso ad aggirare la neutralità in altri modi pseudo-legali. Presto, con un autentico atto di guerra, avrebbe ordinato alla flotta statunitense di scortare i convogli britannici nell’Atlantico, se necessario attaccando i sottomarini tedeschi (e alcuni italiani) che mettevano a repentaglio i rifornimenti alla Gran Bretagna. E’ noto che il Führer proibì ai comandanti degli U-Boote di rispondere agli attacchi statunitensi. Nell’agosto 1941, ben prima di Pearl Harbor, sarebbe venuta la firma con Churchill, su una corazzata britannica al largo del Newfoundland, della Carta Atlantica, vero documento dell’alleanza di guerra con Londra.
Dunque nell’anno elettorale 1940 Franklin Delano Roosevelt era costretto a mentire: avrebbe tenuto gli Stati Uniti fuori del conflitto, specificamente insistè sull’impegno a non mandare i giovani a combattere all’estero. Sarà Pearl Harbor a provocare la resa del Congresso: gli USA sarebbero entrati in guerra. Ma oggi gli storici non hanno dubbi: furono Roosevelt e il segretario di Stato Cordell Hull a provocare l’attacco alle Hawaii con la loro intransigenza assoluta nello sterile negoziato sul futuro dell’Asia.
Ci sono testimonianze che il presidente non manifestò emozione nell’apprendere dell’attacco nipponico (e che Churchill non nascose gioia per la raggiunta certezza dell’intervento USA). Lo storico Charles A. Beard avrebbe confermato col libro summenzionato e in molte altre pubblicazioni (morì nel 1948) i duri giudizi sul bellicismo di Roosevelt.
Herbert Hoover, il 31° presidente degli Stati Uniti, dedicò gli ultimi tre decenni di vita a denunciare i “tradimenti” (nei confronti dell’America) del suo successore immediato. Nelle definizioni di Hoover, Roosevelt era stato un guerrafondaio spinto, un mentitore senza vergogna, un violatore del retaggio democratico e di una storica consegna di George Washington, un sopraffattore della volontà di pace del popolo. In quanto salvatore dell’Urss -con i giganteschi aiuti che nel 1942, secondo la valutazione del presidente Harry Truman, scongiurarono il sicuro crollo sovietico- Roosevelt, sempre a detta di Hoover, aggiunse a Yalta un altro misfatto: la sua intesa con Stalin condannò i paesi sottoposti all’Armata rossa ai decenni dell’oppressione stalinista/comunista.
A lumeggiare la dedizione di Herbert Hoover a demolire la gloria di Roosevelt esiste un’intera letteratura statunitense, fatta anche di scritti diretti del trentunesimo presidente. Letteratura che attesta la forza dello schieramento isolazionista americano contro le guerre mondiali di Woodrow Wilson e di F.D.Roosevelt: insieme i Due ammantati di democrazia fondarono l’impero planetario degli Stati Uniti, cui il Padre della Patria George Washington aveva lasciato la consegna di rifiutare per sempre i conflitti tra europei. Il secondo, l’uomo del New Deal, fece peggio che un intervento bellico sia pur gigantesco. Deformò lo Spirito americano fino a fare stabilmente degli USA il paese più militarista della storia.
Antonio Massimo Calderazzi