AGGRAVO’ LE STRAGI DEGLI ARMENI IL TERRORISMO DELLA MINORANZA GUERRIGLIERA

Si usa datare il genocidio turco all’ultimo decennio del secolo XIX, e si fanno ascendere le vittime a cifre gigantesche, anche oltre un milione di morti. Eppure pochi anni prima il popolo armeno non accennava a desiderare l’indipendenza, nemmeno durante il regno sanguinario del sultano Abdul Hamid.  A contrastare la colpevolizzazione esclusiva dei dominatori turchi valgano un paio di capitoli dell’opera “The diplomacy of imperialism” di William L. Langer, storico di Harvard, pubblicata nel 1935 dall’editore Alfred A. Knopf.  Ne volle la traduzione italiana, nel 1942, l’illustre Federico Chabod, nella collana che dirigeva per il milanese ISPI (Istituto italiano per gli studi di politica internazionale), dove chi scrive fu in passato vice responsabile delle ricerche.

Avverte Langer nella sua Prefazione: ” Poche questioni di  storia recente vengono male interpretate quanto quella dei cosiddetti (sic) massacri degli armeni. Servendomi del materiale armeno, ritengo di essere riuscito a dare, per la prima volta al mondo, un resoconto obiettivo del movimento  rivoluzionario armeno”.  La ricostruzione di Langer muove “dai famosi massacri avvenuti a Sassun nell’autunno del 1894 (…) Può darsi che la popolazione armena nei domini del Sultano raggiungesse all’epoca circa un milione di persone, persino un milione e mezzo.  In nessun vilayet (provincia) della Turchia gli armeni costituivano la maggioranza, nemmeno nelle sei provincie chiamate comunemente Armenia (…) I curdi, musulmani che disprezzavano i cristiani, si sentivano in diritto di sfruttare gli armeni cui erano mescolati. Di norma gli armeni non tentavano nemmeno di reagire. I viaggiatori che visitavano le loro zone erano impressionati dalla loro remissività, addirittura servilità. Tuttavia la pace era precaria, troppo spesso punteggiata da saccheggi e massacri. Così era stato nei secoli. Il governo turco era impotente: per pacificare il paese sarebbe occorso un grande esercito. Date le circostanze la Sublime Porta si accordava come meglio poteva coi potenti capi curdi.  Dal punto di vista dello sviluppo politico nazionale, le grosse colonie armene di Costantinopoli e di altre città occidentali contavano assai più delle travagliate comunità contadine che vivevano nelle montagne dell’Anatolia orientale; una buona metà degli armeni di Turchia viveva fuori dei vilayet.

Ma tra gli armeni, come tra vari popoli dei Balcani, si era verificata nell’Ottocento una rinascita culturale, ” Il movimento era solo un aspetto dell’influenza europea in Turchia.  Come altri popoli in arretrato, gli armeni furono presi da una vera mania dell’istruzione. Nel 1866 vi erano nella sola capitale del’impero 46 scuole armene. I giovani che potevano andavano a completare gli studi all’estero, a Parigi specialmente, e tornavano imbevuti di socialismo e di indipendenza. Tuttavia non vi era ancora l’idea di staccarsi dall’impero. Si poteva dire che i turchi riponessero una fiducia quasi illimitata negli armeni. Il fermento nazionalista non si era propagato alle provincie. Nel 1857 l’abate del monastero Varak a Van, Khrimian Hairig, iniziò a pubblicare un primo giornale armeno. Ma i suoi sforzi non furono affatto apprezzati dagli armeni della capitale. Sembra che alcuni assoldarono un curdo per tentare di assassinare l’indesiderato agitatore; che invece divenne il capo di tutta la comunità religiosa armena”.

Ancora il luminare di Harvard: “L’assieme delle riforme invocate al Sultano, e poco o niente realizzate, non soddisfaceva i nazionalisti. Del resto la loro compagine non era unita. Il suo capo, Nazarbek, fu espulso, accusato di spendere troppo per la promozione del socialismo, nonchè di esaltare  imprese irredentistiche di scarsa importanza.  Fu cancellato quanto di socialismo era nel programma nazionalista armeno. Cominciò ad agire una Federazione sostanzialmente terroristica (Dashnagtzoution), un cui manifesto proclamò: ‘Non deporremo le armi. Abbiamo una guerra santa da combattere. Siamo rivoluzionari e questa è la nostra ultima parola’.  Verso la metà di giugno del 1896 a Van i nazionalisti armeni uccisero molti curdi, col solito risultato di un massacro  nella popolazione innocente.  Risposta dei guerriglieri:  “Coloro che muoiono sono martiri della Patria”. L’incaricato d’affari britannico descrisse  come criminali i partigiani armeni. Le rappresaglie non tardarono. Solo nella capitale 5 o 6 mila armeni persero la vita”. Per Langer, ” Continuando la condotta  idiota e criminale dei rivoluzionari era improbabile che i torbidi cessassero; non vi era piano di riforme che soddisfacesse gli indipendentisti.  Si erano concentrati in gran numero in Persia, non lontano dalla frontiera turca, e compivano ogni sforzo per fomentare un rivolta antiturca, ciò per provocare un nuovo spargimento di sangue armeno. Un console britannico che visitò il campo persiano riferì di circa 1500 miliziani armeni che vivevano lì a spalle dei locali. Affermò che quanto meno i capi delle bande erano sconsiderati e irresponsabili.  I rivoluzionari, così facili a sacrificare gli altri, semplicemente approfittavano  dell’attenzione alla questione armena delle nazioni cristiane. Peraltro queste ultime si astenevano dall’intervenire:  ogni volta che lo avevano fatto, i massacri o le rappresaglie turche si aggravavano.  A poco a poco gli stessi ribelli dovettero rendersi conto che l’Europa ne aveva abbastanza di loro. Della questione armena si parlò sempre meno. Alla fine del 1897 la burrasca appariva quietata”.  Invece l’indipendentismo violento continuò finché l’avvento al potere in Turchia dei Giovani Turchi portò alla rappresaglia estrema. La popolazione civile pagò con un numero altissimo di morti per i crimini della minoranza partigiana. La diaspora armena si ingrossò: chi potè si mise in salvo in Europa o negli Stati Uniti”.

Ricapitolando, con parole nostre: i massacri si aggravarono nel 1905, opera soprattutto dei curdi al servizio dei turchi. Proseguirono nel 1909 in Cilicia
ad Adana e nel nord della Siria. Fu stimato un milione di morti solo tra l’estate 1915 e il gennaio 1922. Risalta allora la verità del giudizio del luminare di Harvard, riferito all’inizio di queste righe: i turchi furono implacabili e feroci con gli armeni, ma è certo che turbe di uomini, donne, vecchi e bambini scontarono con la vita la militanza ‘patriottica’ dei partigiani. Più o meno come a Marzabotto, e come a Oradour.

Antonio Massimo Calderazzi