Nessuno di Quei Due, il presidente francese e la cancelliera tedesca, ha fatto qualcosa di importante per rigenerare e unire il Continente.
Per uno statista europeo del XXI secolo, la misura della grandezza è l’azione realizzata per far nascere la Nazione dei cinquecento milioni che dominarono il mondo e crearono la civiltà occidentale.
Al momento sia Emmanuel Macron, sia Angela Merkel risultano meno gloriosi di De Gaulle e di Adenauer che ‘misero la faccia’ per sopprimere il miserabile odio tra i loro popoli. Meno gloriosi, Quei Due, di costruttori di regni minori quali Cavour, Kemal Ataturk, Horthy, Pilsudski, Mannerheim, Masaryk e, perché no, Salazar e Franco.
Troveranno Macron e Merkel la tempra per non sfigurare, addirittura per non risultare insignificanti, a confronto di personaggi di secondo piano che hanno agito in alcune situazioni del Terzo Mondo?
La cancelliera ha governato il suo paese con competenza e mani ferme, ma potrà non avere più l’occasione giusta: per quanto da pensionata gli Dei la vorranno -chissà- profetessa, Pizia o Sibilla del regno continentale che nascerà.
L’uomo dell’Eliseo ha forse recuperato il terreno politico perduto nell’Esagono, ma sul fronte dell’Europa gli occorreranno risorse di genialità finora non esibite. A Macron si attribuiscono propositi sui dossier che confrontano Bruxelles: però non ancora configurati in modo da annunciare svolte. E non di misure tecnicamente ben congegnate l’Europa ha bisogno: all’opposto di un clamoroso appello alle armi, del lancio di una crociata rischiosa ma risolutiva.
Gli europei vogliono essere elettrizzati, non solo persuasi.
Se, per esempio, Macron vorrà far nascere un esercito europeo, dovrà rompere con la Nato ed emanciparsi sul serio dagli USA. Macron non si limiti a fare il governante cartesiano e preparato; non gli basterà far meglio degli eurocrati. Si imponga anche come ideologo visionario, come apostolo di una grande missione, come annunciatore di un vangelo sovvertitore: l’unità e la grandezza di un Continente pari e idealmente superiore agli Stati Uniti. Magari un’unità e una grandezza dominate da poche capitali e da poche avanguardie temerarie. I governi lillipuziani obbediscano.
Se vorrà fare la storia, Macron dovrà offrire ai governanti e ai governati del Vecchio Mondo l’esempio di una forte cessione di sovranità.
Venendo da una Francia erede di retaggi nazionali orgogliosi, questo esempio renderà grottesco il sovranismo di capitali sostanzialmente secondarie quali Varsavia, Roma, Malta o mezza Cipro.
Sarà vano migliorare giuridicamente “i dossier”: il bilancio comunitario, le ‘diverse velocità’, un po’ meno (assurdi) voti all’unanimità, l’unione bancaria, il regolamento di Dublino.
Sarà epocale se Macron, eventualmente rimasto solo coll’obbligo di fare il leader, annuncerà le cose grandi: la fine della sudditanza a Washington, un esercito davvero unito e poco costoso, la cancellazione effettiva delle frontiere per i cittadini europei veri, la trasformazione delle bandiere da nazionali a sezionali (il nostro tricolore guadagnerà se il bianco sarà dominato da un simbolo continentale, uguale per tutti i labari).
La Francia sciovinista dovrà ridimensionare i suoi miti iperpatriottici (Marianna, il 14 luglio, les enfants de la Patrie). Dovrà persino accettare nei suoi dipartimenti prefetti lituani e intendenti lusitani. Per importanti che siano le misure concrete, promettono di più le iniziative cariche di simboli.
Quanto poi a chi diverrà cancelliere a Berlino, egli/ella dovrà inventare azioni anche più impegnative. L’Europa si unirà solo se la conduzione germanica si farà assertiva in pieno: la Germania merita di condurre parecchio più della Francia.
A. M. Calderazzi