A CERTE NAZIONI ANDO’ INSOLITAMENTE MALE

Anche i popoli, non solo gli individui, hanno il Destino: favorisce alcuni, perseguita altri. Senza uscire dall’Europa, che c’è di simile tra la vicenda nazionale della Svezia e quella, per esempio, della Polonia? La prima è andata avanti senza drammi gravi. A partire dal secondo millennio a.C. commercia già coi paesi mediterranei. In epoca storica prende forma un regno incentrato a Uppsala. Verso l’800 dell’era cristiana cominciano le spedizioni vichinghe che portano gli “svedesi”, lì chiamati Vareghi, fino a Bisanzio. Nel secolo XII nasce la capitale attuale. Nel XIV la Svezia si unisce alla Norvegia e si salda anche alla Danimarca.

Quando diventa re, Gustavo Vasa caccia i danesi (1523) e avvia l’egemonia nel Baltico. Nella guerra dei Trenta Anni, Gustavo II Adolfo campeggia e solo alcuni insuccessi del carismatico Carlo XII fermano l’espansione svedese. In seguito un sovrano viene assassinato, un altro deposto, finché la corona passa a Jean Bernadotte, un maresciallo di Napoleone. Da allora il regno di Svezia si fa sempre più prospero e soprattutto saggio: il capolavoro svedese fu una neutralità monolitica.

Quasi diametralmente opposta è la sorte della Polonia: si direbbe una vicenda di soli spasmi e di sole lacerazioni. Tribù slave cominciarono a installarsi nei bacini della Vistola e dell’Oder un sedici secoli fa e nel 1023 un Boleslas diventa re, ma presto le aggressive campagne dell’Ordine Teutonico disgregano un regno che appariva promettente. I sovrani polacchi fanno grandi progressi unendosi alla Lituania degli Jagelloni e raggiungono il Mar Nero. Alla fine del Seicento la successione di conflitti e di dissesti conduce il regno sull’orlo del baratro. Una nobiltà anarchizzante paralizza la nazione: la monarchia, elettiva, è impotente. Le guerre di successione e la rivalità tra le Potenze- Francia Svezia Russia Austria- sono la norma. Alla prima (1772) delle spartizioni della Polonia partecipa anche la Prussia. Nel 1795 la Polonia sparisce. Il napoleonico ducato di Varsavia è effimero, la Galizia torna all’Austria, la Posnania si germanizza, il grosso della Polonia è degli Zar. Tutti i tentativi di sollevazione vengono schiacciati. Il dominio russo dura fino al 1914, seguito dall’occupazione tedesca.

I soprusi e gli errori del trattato di Versaglia (Versailles), con la congiunzione della Revanche imperialistica della Francia, con le stoltaggini dell’ “idealismo” di Woodrow Wilson -improvvisamente trovatosi egemone della pace- producono un momentaneo risorgere della nazione polacca. Parigi sceglie Varsavia come principale alleata dell’Est europeo, artificialmente ingrandita a spese della Germania. Insieme alla Cecoslovacchia, altra repubblica inventata a Versailles, la nuova Polonia, fatta importante al di là della logica, serve alla Francia per minacciare il Reich.

L’assalto di Hitler nel 1939 apre la Seconda guerra mondiale: ma anche Stalin invade la Polonia. Le sciagure che seguono alla doppia aggressione suggellano una millenaria storia fatta soprattutto di tribolazioni e di occasionali eroismi. Si arrivò a spiegare nel lunare modo che segue le cariche, ovviamente disperate, della cavalleria polacca contro i Panzer germanici: tenendo le briglie tra i denti i cavalleggeri potevano indirizzare i loro moschetti contro le feritoie dei carristi nemici. Varsavia aveva orgogliosamente rifiutato le richieste di Berlino, che inizialmente non andavano molto oltre Danzica, nonché un passaggio attraverso il Corridoio polacco.

Ma se sono prevalentemente funeste le cronache della nazione polacca, ci sono alcuni grandi paesi, onusti di gloriosi conseguimenti, i cui ultimi due secoli hanno collezionato sventure e rovesci che governanti più saggi avrebbero scongiurato. Il caso più impressionante è la Francia. I vanti rivoluzionari e napoleonici non contrappesarono le infamie delle ghigliottine e i massacri del bellicismo sistematico. La nazione non si rialzò dalla disfatta in Russia della Grande Armée. I pronostici dell’azzardo finale a Waterloo erano tutti luttuosi. La guerra che Parigi volle alla Prussia nel 1870 fu una catastrofe, foriera di due conflitti mondiali. L’insurrezione comunarda nella capitale (1871) costò decine di migliaia di morti e, peggio, generò una leggenda che riaffiorerà, ancora a Parigi, in guise eroicomiche nel Maggio 1968.

La fissazione antigermanica costò alla Francia quasi un milione e mezzo di morti nella sola Grande Guerra. Nel 1940 condannò il paese a subire la più grande e ingloriosa disfatta militare della storia: laddove nel futuro della Francia e della Germania non c’era che un esito obbligato, l’alleanza per sempre. A Versaglia la supposta nazione dell’intelligenza cartesiana credette di dover incoronare di gloria quel Georges Clemenceau, del quale si poté dire che addossò soprattutto a sé le superflue carneficine dell’ultima fase della Grande Guerra (quando le Potenze centrali già inclinavano a una pace di compromesso). Clemenceau fu il bellicista estremo che incarcerò e considerò di far fucilare il solo statista nazionale, l’ex presidente del Consiglio Joseph Caillaux, il quale aveva fatto passi politici concreti per mettere fine all’eterno odio franco-tedesco; nel 1917 aveva tentato di favorire la cessazione della carneficina.

Alla Conferenza della pace Clemenceau e i governanti parigini della sua risma attuarono il coacervo di tutti i possibili errori antitedeschi: le conseguenze furono la Seconda guerra mondiale e, nelle Ardenne, la disfatta assoluta della Francia. I mali che seguirono, a Dien Bien Phu e in Algeria, furono poca cosa rispetto al bellicismo revanchiste. Tenuto conto di tutto, alla Francia non sarebbe andata peggio se negli ultimi due secoli fossero tornati a regnare i sovrani ‘buoni a niente’ (Rois fainéants) della casa merovingia.

A.M. Calderazzi