Le gramaglie del Pensiero Unico

Nessuno sa per certo se davvero nasce la Terza Repubblica. Se sì, va detto che essa si libererà quasi da sola dall’occupazione usurpatrice, cominciata nel 1945-48. E sarà brava, come bravi furono gli jugoslavi di Tito: seppero cacciare in proprio l’occupante tedesco-italiano, laddove l’intero Maquis europeo non seppe mai prevalere sulla Wehrmacht (prevalsero i quadrimotori che si adunavano a stormi mostruosi per devastare Reich e dipendenze).

Nessuno sa per certo. E’ però un fatto lo spleen, lo sgomento, la sommessa mestizia dell’Occupatore dello Stivale, cioè del Regime nato tra il 1945 e il ’48. Fu un anno bifronte il 1948, dalle nostre parti. Per un verso nacque la sublime Costituzione che farà delirare di ammirazione il pensatore guitto Roberto Benigni. Per un altro verso il ’48 vide il 18 aprile, primo dei grandi rovesci del comunismo planetario. Si vedrà se il 4 marzo di quest’anno ha veramente segnato la disfatta definitiva dei poteri che hanno imperversato settantatré anni. Si prenda a caso una delle grandi firme di ‘Repubblica’. Finora agivano da piccoli Goebbels della comunicazione di regime. Il 4 marzo li ha talmente contristati che le loro analisi e riflessioni d’oggi suonano altrettanto malinconiche quanto i pensieri dell’imperatore Giuliano quando concepiva il proposito di farsi l’Apostata, quando sentì di dovere restituire l’Impero romano e il suo ecumene agli antichi Dei.  Per Flavio Claudio Giuliano, sovrano intellettuale e spirito sensibile (figlio di quel Giulio Costanzo che era stato assassinato da uno zio), l’avvento del credo cristiano era stato il più grave dei traumi. Era certo che il venerato Olimpo fosse stato espugnato da forze demoniache, anzi animalesche. Trasferito adolescente dalla Cappadocia a Costantinopoli, poi a Nicomedia, Giuliano ebbe maestri che rafforzarono le sue certezze etiche e gli facilitarono di onorare in segreto gli Dei beati. Divenuto imperatore nell’anno 350, rilanciò con veemenza i valori e i riti dell’ellenismo. Perseguitò i cristiani, ma senza ferocia, da uomo giusto che era.

Forse facciamo troppo onore ai piccoli Goebbels di ‘Repubblica’, accostandoli a Giuliano l’Apostata, che fu uomo di principii, fin troppo coerente coi suoi ideali. Meriterebbe ben altra reputazione, non foss’altro che per l’altezza dei suoi scritti morali e filosofici, per le vittorie che conseguì sui Persiani e per la sua prodezza di combattente: morì in battaglia, trafitto da un giavellotto. Ma tant’è: dal 4 marzo le geremiadi dei giornalisti in orbace rossastro rappresentano in pieno lo sgomento dei personaggi del regime che abbiamo subito dal 1945-48.

Il duro settario in capo Ezio Mauro, un Mario Appelius reincarnato, lo abbiamo sentito quasi singhiozzare che si è aperta (parole nostre) un’età di ferro, un’era di nequizie, un vituperio senza attenuanti, uno strazio inconsolabile: e questo perché sono stati stracciati i valori e i modelli della sua parte. In più il Partito del quale Carlo De Benedetti, suo datore di lavoro, prese la tessera numero Uno, è stato non solo dilaniato dalle jene delle urne, ma anche ristretto alla sua vera natura di consorteria di notabili e di percettori di vitalizi e tangenti. Peggio, il partito della Nostalgia è stato condannato a un ruolo metternichiano di ultrà della conservazione e del parlamentarismo, di sabotatore di ogni novità.

E questo è il meno per Appelius. Il più è che il Pensiero Unico a trazione giacobina-radical chic-buonista è improvvisamente uscito di moda: è addirittura fuori corso, come una ‘lira vecchissima’, come un marco di Weimar prima del lavoro di Hjalmar Schacht. L’Appelius rossastro ha ragione: il Pensiero Unico sta perdendo corso, è vicino a tramontare. Si avvia a diventare ‘di nicchia’, a vigere solo nelle conventicole democratiche, nei festival letterari, tra le sdraio di Capalbio, nei retrobottega dei librai sessantottini. Si geme: Il Pensiero Unico morirà a soli 73 anni? La vita si è allungata solo per i pensionati Inps e non per una grande conquista della Repubblica nata dalla Resistenza?

Risposta: sì. D’ora in poi sarà osabile l’inosabile. Si potrà anche scriverlo. Nelle bibliografie come nella vita dovrete fare posto a chi, dovendo scegliere tra mali, preferisce piuttosto gli epigoni di Umberto Bossi e i fotomodelli di Casaleggio a voi azzimati orbaci che avete infierito dal 1945.

E’ logico e giusto, è secondo natura, che vi devasti dentro il rimpianto della “douceur de vivre” prima del 1789. Lo sappiamo, era bella prima del 4 marzo la Potsdam dei re di Prussia, era bella la Racconigi dei sovrani di Sardegna. Erano belli i saloni e gli arazzi del Quirinale dei pontefici anticristiani e dei presidenti ex-comunisti. Era bello per Parigi possedere il Tonkino e la Cocincina prima di Dien Bien Fu. Era bello quando le auto erano poche, solo le nostre. Era bello quando alla attraente partigiana Nilde Jotti era bastato far perdere la testa a Palmiro Togliatti per essere eletta arcideputata a vita (una dozzina di legislature: allora). Era trattata da Altezza Reale e le si intestavano fondazioni e strade. Era bello quando si inneggiava all’amore tra pederasti. Quando le lotte e le vittorie in fabbrica non preludevano alla chiusura delle stesse.

Nostalgici del Settantatreennio; legittimisti; lettori in chiave marxiana di de Bonald e di de Maistre; seguaci di Clemens von Metternich e di Clemente Solaro della Margarita, fatevene una ragione: il Pensiero Unico chiude. C’è un mondo che muore ed è il vostro, il mondo dell’usurpazione. Finirà persino la tracotanza degli intellettuali democratici. Le parole d’ordine e gli imperativi della vostra Belle Epoque vanno ad esaurimento. Arrivano giorni aurorali per i vostri avversari. Ad essi spetta giubilare alla Ulrico di Hutten, il Cavaliere della Riforma luterana che fece risorgere il Cristianesimo dai sarcofagi del papismo rinascimentale:

“O tempora, o mores, juvat vivere!”

Antonio Massimo Calderazzi