Giorni fa Internauta (“De Gaulle insegnò: le Costituzioni scritte dai partiti si stracciano”) segnalava le conturbanti affinità tra i dissesti della repubblica di De Gasperi e Benigni e quelli della Quatrième francese (1946-58); e rilevava che se quest’ultima meritò d’essere spenta dall’asserzione ‘monarchica’ di un generale de Gaulle povero di vittorie militari ma ricco di acume, oggi lo Stivale dovrebbe incoraggiare, lungi dal combattere, un leader capace di farsi, a modo suo, de Gaulle. La nostra repubblica è stata finora una specie di Quatrième: e lo Stivale meriterebbe di meglio.
Va tuttavia precisato che se la Quatrième spirò bambina, essa morì dei mali inguaribili della Troisième: parlamentarismo, partitismo, ipertrofia delle prassi rappresentative, onnipotenza delle oligarchie tradizionali, corruzione. Fu un regime abbastanza longevo -dal 1875 all’inferno del 1940; cioè visse il quintuplo della Quatrième- ma in sostanza nei suoi ultimi vent’anni aveva sofferto, anzi rantolato: nonostante le sontuose apparenze della coda della Belle Epoque.
La Terza sorse sulla disfatta di Sédan, che nel 1870 cancellò il Secondo Impero del Napoleone minore. Conseguì rapidamente l’opulenza finanziaria e in più si fece un vasto impero coloniale. Però si suicidò con due guerre mondiali, la seconda ancora più dissennata della prima. In ogni caso, si consegnò a una classe politica tra le più rovinose. All’aprirsi del secolo XX la Francia era un colosso finanziario, ma nel 1914 scelse di puntare tutto su una Revanche e su una dilatazione del prestigio che più non potevano costarle: nel maggio 1940 fu annientata dalla più grave disfatta della storia.
Nei 65 anni della sua esistenza, la Troisième contò 107 governi, quasi due all’anno: fu il parossismo del parlamentarismo. Dell’ultimo dei governi anteriori alla sfida al III Reich, presieduto da Gaston Doumergue ex capo dello Stato, fecero parte sette ex-presidenti del consiglio. Vuol dire che le crisi e gli intrighi di consorteria, dovuti soprattutto all’onnipotenza della Camera dei deputati, furono persino peggiori che nel nostro settantennio repubblicano. Del resto l’instaurazione della Terza repubblica fu approvata (30 gennaio 1875) con la maggioranza di un voto: 353 a 352. Quando il successivo 14 luglio 1886, alla festa della presa della Bastiglia, risultò che il brillante ministro della Guerra il Gen. Georges Boulanger era veramente amato dai francesi, si temette per gli equilibri, i contrappesi e le anchilosi ‘républicains‘. Il Senato fu sul punto di processarlo costituendosi in Alta Corte; Boulanger riparò in Belgio (dove si suicidò sulla tomba dell’amante, morta di tbc).
Seguirono negli anni i conflitti con la Chiesa, l’affare Dreyfus e una sequela di scandali di ogni genere. Quando (il 16 febbraio 1899) un capo dello Stato morì improvvisamente per attacco cardiaco, si divulgò che ore prima era stato visitato nel suo ufficio dalla giovane e bella moglie di un pittore. Una vicenda personale; però un giornale accusò di omicidio ‘gli ebrei’ (erano i tempi dell’affare Dreyfus). Qualcuno richiese la deportazione di tutti i residenti ebrei. Fu una delle numerose volte che la repubblica apparve in pericolo. Il Senato costituito in corte di giustizia esiliò per dieci anni Paul Déroulède, micidiale oppositore del sistema.
Dalla nascita della Troisième la Francia visse -senza troppi traumi, va detto- una crisi politica permanente. All’inizio della Grande Guerra c’erano già stati una cinquantina di governi, che erano durati mediamente un anno. Dopo la “vittoria” del 1918 la durata si dimezzò. Le crisi divennero più frequenti; ma i ministri non sparivano quasi mai. Aristide Briand fu membro di 25 gabinetti. Vari altri personaggi furono ministri una ventina di volte. Dall’aprile 1925, quando cadde il Cartel des Gauches di Edouard Herriot, al luglio 1926 il Parlamento rovesciò sette gabinetti (durarono 3 mesi ciascuno).
Se la Francia fu annientata dal Secondo conflitto mondiale, dal Primo restò prostrata. Quasi un milione e mezzo di morti, oltre due milioni di nati in meno, distruzioni di ricchezza per 134 miliardi di franchi oro. Alla conferenza della pace la Francia mancò in pieno di saggezza; col risultato che la pace durò meno di vent’anni. Il dominio di Parigi a Versailles ebbe come risultati diretti l’avvento di Adolf Hitler e il secondo conflitto mondiale.
La decadenza finale della Terza Repubblica iniziò poco dopo la proclamazione della Victoire. Varie distorsioni strutturali logorarono la Troisième specialmente nel suo ultimo quindicennio. Sempre più numerosi furono i francesi per i quali le istituzioni parlamentari non erano più idonee a governare il paese. Alla caduta (luglio 1926) dell’ottavo governo di Aristide Briand il Tesoro era vuoto. Il Parlamento si affidò a Raymond Poincaré, lo statista che più di ogni altro aveva voluto la Grande Guerra. Da capo dello Stato, nonostante l’esiguità dei suoi poteri costituzionali, era riuscito a realizzare quell’olocausto. Aveva un talento tale che la sua gestione finanziaria, tornato primo ministro, fece miracoli. Si aprì una ‘prospérité Poincaré’ che ricordava i fasti della Belle Epoque. Ma era un inganno: la Grande Guerra aveva dissanguato la Francia al di là dei troppi morti e dell’immenso indebitamento.
La Troisième segnò lo zenit delle Duecento Famiglie che “possedevano” l’economia. Le oligarchie controllarono ‘tutto’. Le politiche pubbliche apparvero concepite per arricchire ulteriormente i ricchi. I panneggi democratico-liberali occultarono i lineamenti reali di una società dominata in politica dai conservatori fino al 1936 (vittoria del Front Populaire). Se questo valeva per tutto l’Occidente, specifico della Francia era il giacobinismo ‘républicain’, guerrafondaio ed espansionistico, che si ispirava a Valmy, alle vittorie militari del 1793 e, beninteso, ai folgoranti trionfi napoleonici. Si aggiungevano le residue spinte Ancien Régime. Così la Troisième controllata dai conservatori volle, subito dopo la disfatta del 1870, la rinascita di un apparato militare molto potente. Poi, con Poincaré, esigette la Grande Guerra. Ma la République del Fronte popolare arrivò a destinare al riarmo l’85% del bilancio 1937.
La Terza repubblica fu anche una successione di scandali: canale di Suez, canale di Panama, Stavisky, Hanau e molti altri, sessuali compresi. Il denaro, pressocché sempre protagonista. Il 6 febbraio 1934, quando il paese apparve sul punto di cadere alle Leghe semifasciste, gli attivisti di destra che tentavano di espugnare le istituzioni lottavano su parole d’ordine quali “abbasso i ladri”. Ottantaquattro anni dopo, noi sappiamo che i politici italiani 1945-2018 sono stati più ladri di quelli francesi.
Altro fallimento della Troisième: possedeva il secondo più grande impero del mondo ma rinunciò a valorizzarne in grande le risorse, sempre per votarsi alla preparazione di una nuova guerra contro la Germania. Parigi dedicò un decennio alla costruzione di una linea Maginot – 7 piani di caverne! – talmente costosa da non essere propriamente alla sua portata. Tutti sanno che l’opera titanica risultò militarmente inutile. Dal momento stesso del trionfo a Versailles, la Francia fu prigioniera dell’ossessione di respingere la prevedibile vendetta germanica. Parigi accettò di farsi docile ausiliaria della diplomazia britannica, pur di poter contare sull’alleanza londinese. Fu un sacrificio inutile.
L’alternativa Caillaux
Un paese meno posseduto dagli imperativi sciovinistici avrebbe colto qualcuna delle opportunità -che esistevano- di arrivare a una composizione duratura del secolare scontro con la Germania. Nel 1911 il breve governo a Parigi di Joseph Caillaux (in precedenza importante leader radicale, di tendenza progressista) dimostrò nel concreto -con un trattato diplomatico e con la cessione a Berlino di una parte del Congo francese, in cambio del riconoscimento tedesco dell’egemonia francese sul Marocco- che le possibilità di pace vera col secondo Reich erano vaste e serie. Per il presidente Caillaux quello doveva essere solo l’inizio di una partnership franco-tedesca anticipatrice di quella che sarà fondata per sempre da de Gaulle e Adenauer.
La Troisième sconfessò nettamente Caillaux per scegliere Poincaré, cioè lo sciovinismo. Seguirono due conflagrazioni mondiali. Se nel 1870 la Francia fu duramente sconfitta, non fu solo perché i suoi governanti e generali furono surclassati dal genio di Bismarck e di Moltke. Fu anche in quanto l’opinione pubblica soccombette alla malattia del patriottismo sciovinista. I patrioti smaniarono per avere la guerra alla Prussia, in un delirio tale che si consentì loro di cantare la Marsigliese (vietata da vari decenni) nelle vaste manifestazioni antitedesche che le autorità parigine favorirono. Si credeva che il glorioso esercito fatto invincibile dal generale Bonaparte fosse non solo possente ma anche pronto a combattere. “Tutto a posto fino all’ultimo bottone delle ghette” aveva assicurato il maresciallo Leboeuf, ministro della guerra. Il duca deGramont, ministro degli esteri, indicò il Lussemburgo come prezzo minimo di evitare il conflitto. Il primo ministro Emile Ollivier dichiarò che affrontava la guerra “a cuore leggero”.
Invece la mobilitazione andò male e lo scontro sul campo assai peggio. Risultato, la guerra, scoppiata il 19 luglio, era già perduta pochi giorni dopo – a Wissenburg, a Fröschwiller e a Metz – prima ancora che a Sédan l’imperatore in persona fosse costretto a capitolare, fosse fatto prigioniero e, il 4 settembre, deposto. Seguirono i terribili due mesi della Comune parigina: centomila morti di cui ventimila passati per le armi. 35 mila processati, 13 mila condannati, di cui 3 mila deportati. Il primo capo provvisorio dello Stato repubblicano, Adolphe Thiers, era stato solo nel parlamento a chiedere ‘un istante di riflessione’ a quanti invocavano il conflitto.
La Troisième, che arricchì largamente la grossa borghesia, dette al paese vaste colonie e una lunga serie di scandali. Quello riferito al canale di Panama -vide 104 imputati che avevano pagato o ricevuto tangenti e rovinò innumerevoli risparmiatori- non fu che una delle tante manifestazioni del malaffare. E all’occorrenza le conquiste coloniali esigettero l’impiego di mezzi spietati. Scrive lo storico Marc Ferro (‘Storia della Francia da Vercingetorice a Chirac’): “Intere popolazioni passate a fil di spada o arse vive (Bugeaud in Algeria e anche Gallieni… Nel 1845 il generale Pelissier affumicò un migliaio di arabi nella grotta di Dahra. Il pantheon dei generali conquistatori -Joffre in Sudan, Gallieni in Madagascar, Gouraud in Dahomey, Lyautey in Marocco- compensò i fallimenti politici del sistema.”Fu grottesco che i maggiorenti parigini credettero di poter perpetuare, finita la Seconda guerra mondiale, quel parlamentarismo che aveva fatto degenerare la storia di Francia a partire dal 1870.
La Terza modernizzò il paese e soprattutto lo fece ricco. Tuttavia perdette le grandi sfide, cominciando da quella di rinnegare i foschi retaggi del patriottismo bellicista. Perdette soprattutto la sfida di fare quella pace definitiva con la Germania che era stata la proposta del solitario Joseph Caillaux. La catastrofe che venne nel 1914 fu prevalentemente il crimine del revanscismo ipernazionalista: prostrò la nazione irrimediabilmente e rese certa la ripresa del conflitto mondiale nel 1939.
Messa così, i peccati che nel 1958 uccisero la Quarta repubblica furono quasi veniali rispetto a quelli di una Troisième che non aveva imparato nulla dai fallimenti dei due Napoleoni. La Quarta repubblica trovò in de Gaulle il giustiziere che la abbatté senza sforzo. La repubblica precedente era apparsa trionfare con la vittoria del 1918 e con le sopraffazioni e gli errori di Versaglia: ma trovò il proprio giustiziere atroce in Adolf Hitler settantotto anni fa.
Antonio Massimo Calderazzi