Mezza America seppe dire no alla Costituzione termidoriana e plutocratica

Sono considerevoli le differenze tra la nostra Corte Costituzionale e il Tribunale per la Difesa dello Stato istituito da Mussolini. Ma la funzione è la stessa: perpetuare il Regime. Noi sudditi della Repubblica dei partiti dovremmo deciderci a rifiutare la Costituzione e la sua Corte.

Dovremmo fare come l’intero schieramento riformista statunitense, che all’inizio del secolo scorso avviò una lotta “ad oltranza” – la definì così Charles Beard, uno dei maggiori storici americani di tutti i tempi (i suoi libri, soprattutto “An Economic Interpretation of the Constitution of the United States”, vendettero nel mondo undici milioni di copie e, in una definizione del nostro storico Nicola Matteucci, divennero presto “la Bibbia di tutti i progressisti che combattevano contro la Corte suprema: sabotando la legislazione sociale essa usurpava il potere legislativo”).

La battaglia contro lo strapotere del Judicial Review si aprì sotto il presidente Theodore Roosevelt; fu portata avanti nel 1924 dal senatore Robert La Follette, candidato alla Casa Bianca per il Partito Progressista; raggiunse la massima tensione nel 1937, quando il New Deal si difendeva contro la coalizione di tutti i conservatori. Per illustrare le ragioni degli avversari della Corte, Matteucci citava J. Allen Smith che nel 1907,  nel suo “Spirit of the American Government” così definiva le posizioni del progressismo americano: “Il governo direttamente responsabile nei confronti del popolo non fu l’obiettivo che i padri della Costituzione americana avevano in mente, bensì il suo contrario”. L’attacco di Robert La Follette andava nella direzione di Allen Smith: “Col potere di dichiarare incostituzionali le leggi, i giudici supremi sono divenuti il nostro effettivo organo legiferante”. Ancora Matteucci: “In questa atmosfera così intensamente politicizzata, la parola d’ordine dei liberali e dei radicali era la lotta ad oltranza contro le sentenze dovute o alla Costituzione o alla usurpazione di poteri operata dalla Corte Suprema… La tesi che dominava il famoso saggio del Beard era: nell’anno della Convenzione di Filadelfia trionfò la proprietà, cioè la controrivoluzione: il popolo venne messo da parte. Questo testo costituzionale servì solo gli interessi conservatori… Sconsacrare la Costituzione, strapparla dal mitico Olimpo in cui un’interessata agiografia l’aveva posto fu un atto di coraggio. L’opinione pubblica lesse in “An Economic Interpretation” di Beard un attacco frontale alla Corte e alla Costituzione plutocratica. L’opera colpì l’obiettivo come un siluro: si scoprì che la deriva verso la plutocrazia era conseguenza obbligata delle premesse della Costituzione stessa”.

Potremmo andare avanti parecchio a illustrare fino a che punto si spinse la contrapposizione tra i cani da guardia della Costituzione e lo Spirito dell’esperienza americana. Ma è più urgente far risultare che quanto fecero i seguaci di Jefferson, i Benjamin Franklin, i Roger Williams, i Charles Beard – denunciare il ruolo termidoriano della Costituzione e della sua Corte – dovrebbe farlo, se sorgesse, un manipolo di riformatori del sistema italiano, corrotto o marcescente senza speranza. I termini del nostro problema assomigliano a quelli di coloro che, sotto i due Roosevelt, cercavano di liberarsi dei ceppi del conservatorismo. Basterà mettere al posto della connotazione antiplutocratica dei seguaci di Jefferson l’imperativo antipartitocratico/anticleptocratico che si impone nello Stivale. Nel 1913 si prese a lottare nel nome della coerenza americana.

Se non faremo lo stesso, sarà perché non abbiamo avuto la Rivoluzione americana, lavacro lustrale della civiltà anglosassone. Quel lavacro fece reattivo, cioè vitale, gli uomini delle ex tredici colonie, rendendoli capaci di contestare i bonzi della Corte suprema. Noi che invece della rivoluzione abbiamo avuto la collusione tra i Proci della casta politica, noi che soffriamo di una lebbra assai più turpe di quella dell’America di un secolo fa, non insorgiamo mai contro gli usurpatori della partitocrazia ladra “nata dalla Resistenza”.

A.M. Calderazzi