Scegliendo Macron, la Francia ha fatto come cinquantanove anni fa, quando dette mandato a de Gaulle di liquidare la Quarta Repubblica agonizzante. Anche la Quinzième rischia di tirare le cuoia, minata dall’inconcludenza e dalla sgradevolezza della vecchia politica, molto più che dal fondamentalismo lepenista. In pratica Macron è l’ipotesi di una ripartenza, innanzitutto fuori della stantia dialettica destra-sinistra e fuori del patriottismo republicain. La destra all’antica è un’opzione inesistente. La sinistra che conosciamo è un esercito da ritirata di Russia o da velleità di riscossa a Waterloo, a Sedan (1870), alla Comune parigina (1871), alle Ardenne (1940), a Nanterre (“formidabile Maggio rivoluzionario” 1968). I conati a sinistra non meritano che preci di suffragio.
Oggi centellinare le promesse elettorali di Macron, cercare di individuarne i propositi realistici, è esercizio vano. Si vedrà. L’importante, il fatto nuovo, è che il presidente provi a non essere come gli altri maggiorenti di successo d’oltralpe. Questo, non essere come gli altri, fece un secolo e mezzo fa Adolphe Thiers quando tentò di scongiurare la follia della guerra alla Prussia, poi quando spense senza pietà l’insurrezione dei Communards parigini, detestati dal resto del paese. Macron proverà a insegnare alla ‘Patrie’ il realismo.
Ha cominciato a farlo proclamando che il futuro è l’Europa, non la Exception francese, meno che mai la Grandeur. Che da sola, la Francia non ha più senso. E che dovrà imparare a evitare gli errori catastrofici. Cominciò con gli errori il Superman Corso quando credette di poter soggiogare la nazione germanica, poi quella spagnola, poi l’impero zarista. Decenni dopo quel suo nipote, geniale inventore di un Second Empire improvvisato, si lasciò ingannare da cortigiani, marescialli e ministri che gli garantivano una superba vittoria sulle divisioni di Bismarck.
Peggio, nel 1914 la doviziosa Terza repubblica borghese subì il plagio di Raymond Poincaré e si fece svenare dalla Grande Guerra: un milione e mezzo di morti francesi per recuperare una provincia e mezza dove la maggior parte dei nomi erano e sono tedeschi. A disastro avvenuto i francesi applaudirono il forsennato bellicista Clemenceau quando incarcerò Joseph Caillaux, che era stato presidente del Consiglio nel 1911, per il delitto di aver tentato di avviare un negoziato di pace col nemico. Caillaux meritava la gloria di avere anticipato la riconciliazione franco-germanica un trentennio prima di de Gaulle e di Adenauer. Invece l’ex-presidente del Consiglio languì in prigione un anno e mezzo, fu processato dalla Alta Corte, condannato a cinque anni, amnistiato solo nel 1925. L’arcipatriottismo nazionale gli aveva fatto rischiare la condanna a morte per avere invocato ciò che oggi è l’aria che respiriamo.
Nel 1939 Parigi credette di poter negare al feroce cane rotweiler Adolph Hitler il boccone di carne di un paio di colonie africane – destinate ad essere perdute comunque – e si fece trascinare da Londra in un conflitto mondiale-Due che avrebbe cancellato la grandezza britannica e umiliato i francesi con la peggiore disfatta militare della storia planetaria. In seguito il nazionalismo francese si illuse di trovare il riscatto in un Maquis che gratificò (provvisoriamente) solo la puntata di Stalin sull’Europa occidentale. Ai troppi errori di due secoli rimediò Charles de Gaulle sotterrando la fissazione antigermanica e inventando coi tedeschi il progetto europeo.
Questo è forse Macron: l’ipotesi che rifiuti per sempre il retaggio di Poincaré, Clemenceau e Paul Reynaud per mettersi finalmente al lavoro per costruire un’Europa vera. L’ipotesi che si proponga di emulare Adolphe Thiers, primo artefice di una Francia ricca di oro e, fino al 1914, di buon senso. Questo farebbero i Thiers e i Caillaux di oggi: aprire il cantiere dell’Europa giusta; concorrente, non satellite degli USA.
A,M.Calderazzi