Parlavo ieri con una persona di qualità che conosce sul campo anche l’Etiopia: poche ore dopo il nostro fortuito incontro avrebbe preso l’aereo per la parte grossa del nostro ex-impero, Africa Orientale Italiana. Il mio interlocutore, settantenne, geologo e nipote di uno dei maggiori geologi italiani, è alto consulente di un’impresa etiopico-indiana che opera nella valorizzazione mineraria di marmi e altre pietre nobili.
Appena menzionata l’Abissinia, il geologo non ha descritto giacimenti e cave. Ne ha evocato, nell’ordine: la povertà, la vastità (più di quattro volte l’Italia), e il clima, che in certe regioni può essere eccellente: altitudine della capitale: 2640 metri. Da quel livello fino ai 4600 metri del massiccio di Ras Dascian il clima etiopico è classificato ‘alpino’. Mentre il discorso del geologo prendeva altre direzioni, io restavo al suo spunto iniziale: uno dei redditi più bassi al mondo, laddove il paese è talmente vario e vasto che le potenzialità sarebbero importanti. Rimane misero per varie ragioni, cominciando dall’arretratezza culturale.
Mi venivano pensieri ribaldi, politicamente scorretti anzi blasfemi. Se una Provvidenza fosse esistita, reggitrice benefica e diretta del Creato, avrebbe fatto nascere un Mosè etiopico, capace di trascinare il suo popolo. Il colonialismo fu pessima cosa. L’oppressione altezzosa dei bianchi su almeno una parte dei conquistati fu infame. Particolarmente sbagliato, anche perché fuori tempo massimo, fu il nostro colonialismo contro la nazione più avanzata, più fiera e meno nera del Continente Nero. Persino copta, cioè cristiana delle origini.
Tuttavia, se un Mosè degli Etiopi fosse nato, nel 1936, a conquista italiana avvenuta (81 anni fa in maggio) avrebbe persuaso la nazione a prendere per un verso opposto il nostro dominio. Avrebbe immunizzato gli etiopici contro il miraggio indipendentista. La decolonizzazione ha gratificato tutti gli africani con lo sventolio di propri rettangoli di stoffa colorata, ma è stata anche una sciagura grave, come molti altri prodotti dei patriottismi: i quali sono nobili esclusivamente nei manuali di educazione civica e nei discorsi di afflato umanitario. L’indipendenza ha perpetuato la povertà, ha moltiplicato le stragi con le guerre intestine (tribali e settarie), ha bloccato il riscatto dalla miseria.
L’Italia, grazie alla fase sabauda e fascista, poi a quella antifascista, è uno degli Stati politicamente meno fortunati e meno inclini al buongoverno. Una mala repubblica tra le più scadenti. Però per un miracolo è anche una società ricca, edonista e buonista. Se il 10 giugno 1940 il Fondatore dell’Impero non avesse deciso di consegnare quest’ultimo all’avversario britannico, in quello scacchiere allora invincibile, forse oggi l’Etiopia godrebbe in grande dei sottoprodotti della ricchezza italiana. Avrebbe il suo prodigio economico, sarebbe un gigantesco e semiprospero ‘territorio oltremare’ del secondo paese manifatturiero d’Europa, della prima potenza calcistica, modaiola, gastronomica e ludica del mondo. Tra le ripide ambe e gli altipiani dei Negus Neghesti si diramerebbero le superstrade, gli acrocòri sarebbero punteggiati dalle seconde case dei lombardi e dei pugliesi, il turismo tripudierebbe, si scierebbe a quattromila metri, rigoglierebbero le lavorazioni locali dei prodotti agro-zootecnici: e fermiamoci qui.
Tutto ciò, e molto altro, se dal balcone di palazzo Venezia il Duce non avesse annunciato la guerra – guerra a perdere sicuramente nella ‘Africa Orientale Italiana’- e comunque se ad Addis Abeba l’ipotetica Provvidenza benefica avesse fatto nascere il Mosè nazionale, capace di distogliere il popolo dall’ubbia del nazionalismo.
Questi scenari fantasiosi sono vietati dal realismo dell’obbligo. Ma chi si sentirebbe di confutare il felice Bengodi degli Amhara, Tigrini, Galla, Dancali e Sidami, se l’Abissinia fosse restata a noi furbastri, goderecci, dominatori coloniali ben più piacioni e buonisti dei belgi di re Leopoldo, il proprietario catastale del Belgio, e degli inglesi del generale Gordon, trucidato per odio dai tagliagole del Mahdi il Profeta del Sudan?
Il politically correct e il troppo savio possono inebetire.
A.M.Calderazzi