Qualche anno fa Lamberto Maffei, neuroscienziato di chiara fama, sottolineava nel suo libro “Elogio della lentezza” il paradosso della modernità, che tende a sacrificare il pensiero razionale in ragione di una immotivata, illogica e improduttiva velocità.
Mia nonna, una ventina di anni più addietro, ribadiva il noto detto popolare “la gatta frettolosa fa i gattini ciechi”.
Chi, come me, nel periodo che intercorre fra i due pensieri, ha potuto osservare la società che ci circonda con un minimo di astrazione, senza farsi condizionare (troppo) dalla battaglie idealiste o dalle mode del momento, potrà condividere che molti errori in politica, in economia e in tutte quelle attività che richiedono, appunto, un pensiero razionale, sono dovuti alla volontà di decidere senza aver raccolto sufficienti informazioni, all’esigenza di anticipare gli altri nelle azioni senza aver sufficientemente elaborato il pensiero, e, infine, alla mancata analisi sulle conseguenze delle proprie scelte.
Insomma, in molti casi, è tutta colpa della fretta.
I processi che governano i cosiddetti umori della rete, i comportamenti collettivi, codificati da Gustave Le bon (senza dover ricorrere a pensatori più recenti), portano con sé un genetico difetto, che deriva dalla rapidità con il quale tali idee si formano, si scambiano, si applicano. Una rapidità che non produce necessariamente idee e decisioni fallaci, ma che tende a far confondere concetti sostanzialmente diversi: l’indecisione, con la lentezza di un processo di decisione.
Questo pensiero collettivo, per sua natura “non razionale” (n.b. non “irrazionale”), cambia con la stessa velocità con la quale si forma e, di conseguenza, tende ad agire allo stesso modo: con rapidità e mutevolezza.
Se per Marinetti nel 1909 la velocità era prima di tutto bellezza, oggi, la velocità è applaudita come valore assoluto, segno ulteriore di quanto tendiamo, in una sorte di frettolosa sintesi, a premiare capacità senza indagare a sufficienza se queste stesse capacità siano valori o difetti in determinati contesti.
Esistono almeno cento valide ragioni per argomentare come la democrazia diretta, che agisca attraverso la rete come espressione di un pensiero collettivo, e ancor più la consultazione referendaria immediata e frequente attraverso la rete, siano processi pericolosi, inopportuni e sostanzialmente prematuri per lo sviluppo della nostra società.
La natura dei processi decisionali e la necessità di disporre di un sistema politico, indiretto o mediato, che sia in grado di valorizzare la razionalità, sottraendosi alla fretta, è uno dei cento.
Siete d’accordo? Si, No. Votate … subito.
Francesco Benini