Spagna: la corruzione sorella cattiva della liberta’

Spagna: la corruzione
sorella cattiva della libertà

I reggitori del Regno dopo la morte di Franco -i Juan Carlos, i Carlos Arias Navarro, gli Adolfo Suarez, i Manuel Fraga Iribarne, persino i Santiago Carrillo- sbagliarono a consegnare il paese alla democrazia (=oligarchia) dei partiti: lo ha dimostrato il quarantennio che è seguito. Soprattutto lo hanno provato i tredici anni di governo di Felipe Gonzales (1982-96). Ma il malaffare resta.

Era scritto nelle cose che il Craxi andaluso, capo di un partito destinato a raccogliere 10 milioni di voti, avrebbe importato nella politica spagnola i mali della repubblica italiana, la peggiore dell’Occidente. Ma forse nessuno si aspettava in Spagna un trionfo così repentino del malcostume. Forse nessuno prevedeva che i capi del socialismo spagnolo, eredi di un retaggio onorato -un secolo di lotte a favore del popolo, avviate da un Pablo Iglesias che morì in miseria- avrebbero potuto risultare altrettanto ladri quanto i loro maestri italiani.

Felipe Gonzales e i suoi si sono macchiati di una colpa supplementare. Hanno impostato
una gestione cleptocratica del potere che ha inevitabilmente assimilato i loro avversari e successori, i ‘popolari’ (liberal-conservatori) di José Maria Aznar prima, di Manuel Rajoy poi. La parentesi al governo del socialista intellettuale José Luis Rodriguez Zapatero non ha cancellato gli illeciti impostisi coll’avvento del felipismo. Chi oggi scorra la stampa spagnola la troverà quotidianamente punteggiata dai fatti e riverberi delle tangenti e dei favoritismi: forse non sfacciati come nelle prime due legislature ‘democratiche’, però gravi. Alla fine del tredicennio felipista il Psoe si trovò insozzato dagli scandali economici, molti suoi esponenti indagati o processati nella capitale come in Andalusia, in Navarra, nel Paese Vasco, nelle Baleari, in Catalogna, altrove. Nel 1996 solo nella Comunidad Autonoma Valenciana il Psoe non risultava perseguito. Si prese a dire che la corruzione era l’Aids della classe politica spagnola. Di qui la futura affermazione dei sentimenti antipolitici e populistici.

Va detto che Felipe Gonzales, il potente successore alla Moncloa del presidente del governo Leopoldo Calvo Sotelo (figlio del leader monarchico assassinato giorni prima della Guerra Civile), dette indicazioni sui propri stili di gestione e di spesa al momento stesso di insediarsi. Fece sapere che intendeva utilizzare uno staff di duemila e più persone, per non essere da meno di governanti socialisti come Willi Brandt, Bettino Craxi, Francois Mitterrand. Alla fine del suo lungo consolato, Gonzales lasciò ad Aznar una Moncloa di 2300 persone, quasi tutte di sua nomina.
Gli edifici della presidenza erano dodici, per quasi 204 mila metri quadrati costruiti. Non mancava un bunker ipertecnologico che apparve alquanto più imponente delle installazioni di sicurezza della Casa Bianca. Qualcuno ha valutato, magari esagerando, che il grande rifugio fu una realizzazione altrettanto impegnativa quanto il tempio del Valle de los Caidos di Francisco Franco.
A proteggere la Moncloa furono assegnati, oltre ai reparti polizieschi, i paracadutisti della brigata di Alcalà de Henares. Il presidente e i suoi familiari ebbero al loro servizio una dozzina di autisti, con altrettanti veicoli, alcuni dei quali blindati, altri fuoristrada. Nel suo assieme il vertice dello Stato prese a disporre di circa duemila veicoli e di una ventina tra aerei ed elicotteri. Oltre millecinquecento giornalisti fidati, artisti, registi e pubblicitari lavoravano per ministeri ed entità pubbliche. Nei duemila edifici pubblici della capitale non meno di settemila persone godevano di remunerazioni direttoriali o di cospicui contratti di consulenza. Inutile aggiungere che prevalevano le persone di affiliazione socialista.
Gli sprechi e le pletore sono mali antichi di tutte le monarchie. Quella di Franco poté non eccedere, anche perché i suoi primi vent’anni furono famelici; tuttavia essa allargò molto gli interventi della mano pubblica, dunque lo statalismo. Inaspettatamente gli sprechi furono esasperati nell’abbondanza degli anni Ottanta, oltre a tutto ad opera di una classe di governo che si ispirava a un’ideologia di sinistra.

Il saccheggio

Due autori, José Diaz Herrera e Isabel Duran, pubblicarono nel 1996 un libro, “El saqueo de Espana, Ediciones Temas de Hoy, Madrid, che tra il febbraio e l’aprile di quell’anno ebbe undici ristampe. In 605 pagine gli autori dettagliarono con migliaia di nomi la rapina e gli sperperi della gestione Gonzales. Successivamente, tra il novembre 1996 e il gennaio 1997, fecero uscire “Pacto de Silencio, seconda parte de “El Saqueo de Espana”).487 pagine, otto ristampe in otto mesi.

Il secondo libro era sottolineato “La herencia socialista que Aznar oculta”. Herencia significa eredità. Si esponevano ancora i mali della gestione felipista, con in più numerose accuse al primo ministro conservatore Aznar per il fatto di tacere sui comportamenti del predecessore, e ciò per calcolo o per omertà corporativa tra politici. Tra le due opere, 1092 pagine fitte di fatti, nomi, circostanze e soprattutto addebiti.
Un ventennio dopo la pubblicazione, i due libri sono ancora in catalogo presso la biblioteca milanese dell’Istituto spagnolo di cultura, dello Stato madrileno. In vent’anni la magistratura spagnola e le centinaia di persone accusate o menzionate hanno avuto tutto il tempo per perseguire come calunniatori i due autori Diaz Herrera e Duran, o per esigere il ritiro dei volumi dalle biblioteche ufficiali. Come non congetturare che una parte piccola o grande dei personaggi del felipismo meritassero la gogna?

Nel prologo del primo libro gli autori assimilavano la rapina della fase socialista al ‘Sacco di Roma’ (6 maggio 1527), compiuto dalle truppe spagnole di Carlo V: “Uno de los mas negros episodios de nuestra historia, que llenò de verguenza a la Corte de Carlo V y obligò a la nobleza espanola a pedir (chiedere) perdòn al papa Clemente VII. Casi cinco siglos después, bajo (sotto) el mandato de Felipe Gonzales, el pais se ha visto asaltado par la corrupcion, el amiguismo, los favoritismos y el trafico de influencias. Bajo los gobiernos socialistas Espana ha caido (è caduta) en mano de toda clase de especuladores y delinquentes de cuello blanco (colletti bianchi). Felipe Gonzales lo reconocìa en un miting: “Perderemos las elecciones por la corrupcion”.
Ancora i due autori: “Los socialistas, en su (loro) primera relacion con el poder asumen todos los defectos y ni (nemmeno) una sola de las virtudes de los anteriores gobernantes. El dia en que el Psoe gana las elecciones generales de 1982 un grupo de personas decide dominar los negocios publicos, aduenarse (impadronirsi) de la banca y poner a su servicios las grandes empresas y el conjunto del sistema financiero del pais (…) Todos los escandalos que venian salpicando (punteggiando) la vida politica nacional dan un salto qualitativo que coloca a Espana en los niveles (livelli) mas altos de la corrupcion, muy cerca (vicino) de Mexico, Japan e Italia. Cada dia con un nuevo escandalo que se solapa (accavalla) con el anterior, los hechos (fatti) masgraves estaban aun por descbrirse. El retroceso del felipismo en las elecciones del 3 marzo 1996 apre una nueva etapa. Pero la pirrica victoria del Partido Popular no permite demasiadas (troppe) esperanzas de regeneracion. Secondo gli autori, il salto qualitativo del malaffare si manifesta nel 1995, con la fuga e la cattura di Luis Roldan,direttore generale della Guardia Civil, nonché coll’arresto di Mariano Rubio, governatore del Banco de Espana.
Diaz Herrera e Duran sostengono che verso la fine degli anni Ottanta il partito di Gonzales “impose ai principali banchieri e imprenditori del paese una taglia: con ciò convertendo il meccanismo della democrazia in una cleptocrazia organizzata. Ai capi dell’economia (l’edilizia in particolare) non fu lasciata scelta: o pagare tangenti agli ‘esattori’ socialisti, o subire vendette. Risultato, il Psoe, forte di un netto vantaggio competitivo rispetto agli altri partiti, ottenne per una terza volta la maggioranza assoluta. Però fu l’ultima volta”.

Un ventennio dopo i due libri sono sempre in catalogo presso la biblioteca milanese dell’Istituto spagnolo di cultura (dello Stato madrileno). In vent’anni ha avuto il tempo :per perseguire come calunniatori gli autori Diaz e Duran. Soprattutto i calunniati hanno potuto querelare ed esigere il ritiro dei volumi dalle biblioteche ufficiali. Come non inferire che una parte piccola o grande dei personaggi felipisti meritassero la gogna?
Nel prologo del primo libro si assimilava la rapina felipista al Sacco di Roma (6 maggio 1527 da parte degli spagnoli di Carlo V: “Uno de los mas negros episodios de nuestra historia, que llenò de verguenza (coprì di verlgogna) a la Corte de Carlos V Y obligò a la nobleza (nobiltà) espanola a pedir (chiedere) perdon al papa Clemente VII. Casi cinco siglos después,bajo (sotto) el mandato de Felipe Gonzales, el pais se ha visto asaltado par la corrupcion, el amiguismo, los favoritismos y el trafico de influencias. Espana ha caido en manos de toda clase de especuladores y delinquentes de cuello blanco (colletti bianchi). Felipe Gonzales lo reconocia en un miting (meeting): “Perderemos las elecciones del 3 de marzo por la corruption”.
Ancora gli autori: “Los socialistas nel poder asumen todos los defectos y ni una sola de las virtudes de los anteriores gobernantes. El dia que el Psoe gana las elecciones generales de 1982 un grupo de personas decide dominar las arcas del Estado, colocar bajo (sotto) su control los negocios publicos, aduenarse (impadronirsi) de la banca y poner a su servicio las grandes empresas y el conjunto del sistema financiero del pais”.
Un ventennio dopo i due libri sono sempre in catalogo presso la biblioteca milanese dell’Istituto spagnolo di cultura (dello Stato madrileno). In vent’anni ha avuto il tempo per perseguire come calunniatori gli autori Diaz e Duran. Soprattutto i calunniati hanno potuto querelare ed esigere il ritiro dei volumi dalle biblioteche ufficiali. Come non inferire che una parte piccola o grande dei personaggi felipisti meritassero la gogna?
“El retroceso del felipismo en las elecciones del 3 marzo 1996 apre una nueva etapa. Pero la pirrica victoria del Partido popular no permite demasiadas (troppe) esperanzas de regeneracion del paese”.
Secondo gli autori, il salto qualitativo del malaffare si manifesta nel 1995, con la fuga e la cattura di Luis Roldan, direttore generale della Guardia Civil, e coll’arresto di Mariano Rubio, governatore del Banco de Espana. Quell’anno vengono svelati i tentativi di ricattare il Re: si fanno i nomi dell’affarista Javier de la Rosa, del banchiere Mario Conde, di Alfonso Guerra, vice segretario del Psoe.

Diaz Herrera e Duran sostengono che verso la fine degli anni Ottanta il partito socialista “impose alle banche e imprese principali una taglia, con ciò convertendo il meccanismo della democrazia in una cleptocrazia organizzata. “ Risultato, il Psoe, forte di un vantaggio competitivo rispetto agli altri partiti, ottenne per la terza volta la maggioranza assoluta alle elezioni. Però fu l’ultima volta. Le tangenti, le estorsioni, la sistematica rapina della ricchezza pubblica tolsero l’onore al partito dei lavoratori. E inchieste della magistratura portarono a processo 32 affaristi e esponenti del Psoe, su 39 indagati. Dopo un decennio di controllo assoluto del potere il partito di Gonzales andò alla sbarra. Imputati morali Felipe Gonzales e Alfonso Guerra. Ai capi dell’imprenditoria -l’edilizia e i lavori pubblici in particolare- e della finanza non era stata lasciata scelta: o pagare tangenti o subire le vendette del regime felipista.

Il cosiddetto “caso Filesa”, considerato in Spagna la madre di tutti gli scandali, venne alla luce nel maggio 1991. Risultò che Filesa, rete di una cinquantina di imprese (alcune delle quali ‘fantasma’) facenti capo al vertice Psoe, commetteva in Spagna gli stessi illeciti che in Francia avevano finanziato la campagna per l’Eliseo di Mitterrand e che in Italia arricchivano il partito di Bettino Craxi. Invece in Germania la SPD di Willi Brandt si sosteneva attraverso imprese in attivo.

Nel dicembre 1992 la polizia giudiziaria spagnola confiscò nella sede spagnola della Siemens, sulla madrilena calle Orense, i documenti delle somme pagate dal gigante tedesco al Psoe per farsi aggiudicare opere di elettrificazione della linea ad alta velocità Madrid-Siviglia. Il punto culminante delle inchieste sulla corruzione venne nel dicembre 1992, quando la magistratura ordinò il sequestro di carte della sede centrale del Banco di Spagna. Mai dalla transizione alla democrazia c’era stato un provvedimento così drastico. Presto fu provato che soprattutto il Psoe, ma anche altre formazioni, piegavano ai propri fini le istituzioni dello Stato e trasformavano i concorsi e le gare d’appalto in strumenti di ladrocinio organizzato.
Questo divenne in particolare il tallone d’Achille del Psoe: fu travolto alle elezioni generali del 1996. Il partito risultava colpito da ventitre procedimenti per corruzione. La forza politica più brillante della transizione dal franchismo era stata snaturata dalla corruzione ed ora pagava duramente. “I socialisti sono in caduta libera” ha scritto nell’ottobre 2016 “El Pais”, principale tra i giornali loro sostenitori. “Negli anni Ottanta il PSOE sfiorava il 50% dei consensi: adesso si ferma al 22%. I socialisti vanno male anche nel resto d’Europa, ma in Spagna peggio.”

Buon amico e alleato di Gonzales era Bettino Craxi, che per sfuggire agli ordini di cattura dei giudici di Mani Pulite si rifugiò nella propria villa di Hammamet, in Tunisia). In quella villa Felipe Gonzales e famiglia furono ospitati nel 1984. E’ noto che le sentenze dei tribunali troncarono le carriere di altri esponenti di vertice del partito socialista italiano, modello dell’omologo spagnolo: in primis Gianni De Michelis, Claudio Martelli , Paolo Pillitteri.

I meccanismi del ladrocinio partitico
In Spagna come in Italia, in Messico ein ogni altro paese a forte corruzione della vita pubblica è la norma che amici, parenti e favoriti dei capi del regime utilizzino innumerevoli possibilità di arricchirsi. Si danno settori e livelli privilegiati per l’arricchimento personale come per il finanziamento della carriera e delle elezioni: le opere pubbliche, le commesse dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, i programmi internazionali d’assistenza, gli interventi d’emergenza; più ancora le licenze edilizie, le urbanizzazioni, le deroghe ai piani regolatori, la sanità, le forniture.
In realtà è l’intera esistenza, è l’assieme della spesa pubblica dei paesi demo-plutocratici che si offre al taglieggiamento delle tangenti e delle altre forme di corruzione. L’etica dei paesi più corrotti è sfacciatamente violata dall’endogamia tra politici, intellettuali di partito, imprenditori, manager, professionisti. In Spagna i fatti del quarantennio seguito alla morte di Francisco Franco non lasciano dubbi: col crescere della prosperità capitalistica il paese si è unito alla pattuglia di testa della corruzione. Essa diventa tanto più corrotta quanto più si ingigantiscono le risorse gestite dalla mano pubblica.
Si può naturalmente sostenere che fatti -meno gravi- di favoritismi e di tangenti esistevano anche nel regime franchista. Tuttavia per il carattere autoritario e poliziesco di quel regime noi conosciamo poco i fatti; dobbiamo attendere che li trovi la ricerca storica. Al contrario le realtà della democrazia/oligarchia e della collusione con gli interessi plutocratici sono sufficientemente conosciute per poterle affermare malate.
Morto Franco non bisognava consegnare la Spagna alle urne, cioè ai partiti. Oggi non si dà prospettiva di salvezza che prescinda dallo smantellamento puro e semplice delle istituzioni cleptocratiche.
amc