Quarantuno anni fa -25 aprile 1974- una rivolta di duecento ufficiali, quasi tutti capitani e quasi tutti trentenni, stupì il mondo liberando il Portogallo, ancora padrone di grosse colonie africane, dal regime postsalazariano dell’Estado Novo, sorto nel 1926. Il colpo di Stato volle non più di sei-sette ore, nessuno scontro e nessuno spargimento di sangue. Così andò altre volte in passato, nella tradizione portoghese. Quel 25 aprile un incidente marginale e localizzato fece quattro morti, ma era in nulla connesso col colpo di Stato.
Il Movimiento de las Fuerzas Armadas trionfò senza oppositori. Il capo del governo Antonio Caetano, successore di Salazar e come lui professore universitario, tenne a trasmettere personalmente, e urbanamente, il potere al generale Antonio de Spinola, sottocapo di Stato Maggiore, designato dai capitani trentenni. Per un biennio i nuovi gestori politici del Portogallo non furono i tradizionali personaggi di destra, ma il socialista Mario Soares e Alvaro Cunhal, capo dei comunisti portoghesi. Né l’uno né l’altro erano stati i mandanti di una rivolta scatenata invece dalle frustrazioni della guerra coloniale, costosissima anche sul piano umano. Fu dunque la volta che le sinistre plaudirono e andarono al potere: se ne ricordino quanti oggi agitano lo spauracchio della soluzione di forza, anzi ‘fascista’, cui rispondere con un’esilarante ‘Nuova Resistenza’. A loro questo Stato buono a niente va bene così.
In Portogallo si fece ricorso alla minaccia della violenza -non alla violenza effettiva-perchè la legalità era tutta dalla parte del tardo salazarismo; così come da noi essa legalità è tutta dalla parte della demoplutocleptocrazia. Più alla lontana, si ricordi che anche i titoli di gloria della nazione lusitana -le grandi scoperte geografiche, la prodigiosa espansione coloniale tra il 1415 e il 1580, in tre continenti, furono dovuti alla cosiddetta Rivoluzione armata del 1383; due anni dopo essa trionfò grazie al genio del condottiero militare Nun’Alvarez Pereira, vincitore della battaglia di Aljubarrota. La dinastia degli Aviz che si insignorì del regno lanciò con Enrico il Navigatore e con Giovanni II i viaggi di esplorazione oceanica, trasformando uno Stato marginale nel leader della conquista europea sul pianeta. Infine è bene ricordare che fu un colpo militare quello che il 5 ottobre 1910 mise fine alla monarchia, vent’anni prima che in Spagna. Ancora una volta: se avesse prevalso, la legalità avrebbe perpetuato il vecchio ordine Braganza.
La necessità di una soluzione di forza non si può escludere per lo Stivale: forse sarà il Portogallo degli anni Venti. Certo non soffre come la nazione lusitana di una dura guerra coloniale. Le guerre coloniali abbatterono la monarchia spagnola nel 1931, la Quarta Repubblica francese nel 1958. Dall’Algeria minacciarono persino il potere dell’augusto Charles de Gaulle. Il settantennale regime italiano non soffre di tumori coloniali. Tuttavia il giorno che l’economia mancasse la ripresa e che le Istituzioni repubblicane si facessero sconfiggere dalla coalizione dei tre grandi nemici -il declino economico; l’odio antipolitico del popolo; la valanga immigratoria- quel giorno la legalità cesserebbe di proteggere il regime. Dovrebbe fare luogo a una nuova, ben più reale legalità generata dalle cose, dalla minaccia della forza. Come a Lisbona, non si verserebbe una goccia di sangue. Chi si batterebbe in difesa dei cleptocrati e di uno Stato quasi-canaglia?
In due anni la ‘Rivoluzione dei garofani’ si ammorbidì e normalizzò. Però non fu soppiantata da alcuna controriforma “berlusconiana”. La bianca, affascinante Evora coronata di querce da sughero conserva il ricordo di quando l’Alentejo circostante era bastione dello stalinista PCP di Alvaro Cunhal. Con lui e grazie ai capitani trentenni i latifondi erano stati occupati dai braccianti, e le agitazioni avevano costretto all’impotenza il governo provvisorio dell’ammiraglio Pinheiro de Azavado. Coll’avvento a capo dello Stato di Ramalho Eanes, a primo ministro di Mario Soares, è sopraggiunta la normalità. Le posizioni estreme sono, o sembrano, scomparse, la svolta modernizzatrice prosegue, pur con le sue incertezze.
In Italia la partitocrazia ladra ha trovato in Matteo Renzi il Rottamatore/Restauratore. Sempre che a) l’economia si riprenda; b) si attenui il rancore del Paese nei confronti dei politici; c) si fermi l’alluvione dei migranti (quest’ultima non meno ma più pericolosa di una guerra coloniale). Se queste condizioni non si verificheranno, perché la repubblica gestita dal Partito Unico del Furto dovrebbe sfuggire all’esperimento del giustizialismo alla portoghese? Le Istituzioni rette da Mattarella e dalla Consulta sono la garanzia di un immobilismo alla Marcelo Caetano, 41 anni fa.
A.M.C.