Tutti sanno che l’invenzione del Regno degli Slavi del Sud -primo nome della Jugoslavia, nazione mai esistita prima e condannata ad esplodere- fu, nel 1918-20, uno degli infortuni gravi del presidente Woodrow Wilson, male imboccato dal Quai d’Orsay. Wilson fece a lungo l’astratto accademico (nel 1902 divenne rettore di Princeton) prima di diventare governatore del New Jersey e poi (1912-20) presidente degli Stati Uniti. Volle l’intervento statunitense nella Grande Guerra: e questo gli andò benissimo. Impostò la trasformazione degli USA nella prima potenza del pianeta.
Molti, tra cui l’arguto e sapiente professore Vittorio Mathieu, sostennero che quando intraprese a riformare l’Europa e il mondo Wilson fosse già sull’orlo della pazzia. Ma non era diventato pazzo: aveva sofferto un duro colpo apoplettico nel settembre 1920, quando tentava di piazzare agli americani un trattato di Versailles e una Lega delle Nazioni perfettamente contrari alla tradizione della Dottrina Monroe (=l’emisfero occidentale ai suoi popoli e gli americani a casa loro). Soprattutto gli stati del West erano accanitamente isolazionisti; le tensioni cui il presidente si sottopose nello sforzo di guadagnarli all’internazionalismo gli furono fatali. Wilson portò a termine il suo secondo mandato, ma da invalido. Di fatto governarono la seconda moglie, sposata di recente, e il colonnello Edward House, il più fidato dei confidenti presidenziali.
Parliamo di Wilson perché grazie alla sua guerra ammantata di idealismo sorse l’impero americano, e sorse sotto le apparenze di una gigantesca missione di pace. Apparenze irresistibili: quando la Germania guglielmina decise di arrendersi, nella tarda estate 1918, invocò i Quattordici Punti di Wilson. Il premio Nobel per la pace assegnato al presidente nel l919 fu indubbiamente meno bizzarro di quello elargito (pochi ricordano perché) a un Barack Obama da poco insediato alla Casa Bianca. Predicando incessantemente la fratellanza delle nazioni, in realtà mandando a combattere in Europa 29 divisioni, oltre due milioni di uomini, il celebrato rettore di Princeton avviò l’opera che ventotto anni dopo dette il trionfo al bellicismo di F.D.Roosevelt. Questo sarà ripreso da altri due presidenti democratici, Kennedy e Johnson, infine dai guerrafondai repubblicani di nome Bush.
Gli altri scacchi di Wilson furono il fiasco della Lega delle Nazioni -in seguito corroborato da quello, più grave, delle Nazioni Unite- e, oltre alla frantumazione della Jugoslavia, il naufragio della Cecoslovacchia e l’eccessivo ingrossamento della Polonia 1919. Infine, e soprattutto, fallì Weimar, che non fu una creazione di Wilson ma si raccordò all’assetto wilsoniano dell’Europa.
Si può sostenere che gli insuccessi del Nobel oggi a capo del sistema occidentale sono stati meno eclatanti di quelli di Wilson; e che il politico professionale portato sugli scudi dai neri di Chicago si è dimostrato molto più realista del professore consacrato dalle glorie di Princeton. Tuttavia resta il profondo iato tra i propositi idealistici dei due presidenti progressisti e le loro pratiche di governo.
Il presidente semi-nero dei nostri giorni ha ancora più di un anno per cercare di aggiungere qualche vittoria al suo palmarès. I limiti di Woodrow Wilson furono messi a nudo proprio da quella cessazione della Grande Guerra per la quale si era adoperato. Nel primo dopoguerra gli Stati Uniti si impadronirono del primato mondiale in contemporanea con la dimostrazione della loro immaturità o inanità a esercitare l’egemonia. Le contingenze storiche di un mondo che si fa multipolare stanno negando a Washington le opportunità che le si offrirono invano nel 1919. Le sfide dell’impero sono più ardue per Obama che per Wilson.
Tuttavia gli sbagli di Barack sono stati meno fatali. Egli sta cavandosela, nonostante non abbia saputo far fruttare i talenti a lui affidati. Woodrow Wilson stroncato dall’apoplessia
(e per questo crudamente deriso da d’Annunzio, che a Fiume sfidò l’infatuazione jugoslava del presidente) non poté compiere la sua opera: però il suo paese accelerò la corsa e sotto il guerrafondaio F.D.Roosevelt, discepolo e continuatore dell’uomo di Princeton, la portò al traguardo diciamo così in bellezza.
A.M.Calderazzi