Nel 1934 la Francia apparve per un po’ in una crisi tale da farla tentare dal fascismo. In realtà il paese la dette vinta a chi difendeva le istituzioni, perché le gestiva: due anni dopo le sinistre si unirono nel Front Populaire e sul breve termine, per pochi mesi, vinsero.
Le condizioni dell’economia erano meno serie delle nostre d’oggi. Tuttavia si delineava la minaccia di un’altra guerra, per l’indomabile volontà di rivincita della Germania umiliata a Versailles. In più l’Europa era attraversata da pulsioni autoritarie che oggi appaiono inverosimili, e anche questo differenzia il nostro contesto attuale da quello francese di allora.
Il tessuto sociale della République reca ancora i segni della Grande Guerra. Poco meno di un milione e mezzo di francesi hanno perso la vita; un altro milione è fatto dei mutilati, dei gassati, degli storpi. Metà degli altri reduci hanno riportato traumi e patimenti. La popolazione invecchia: a partire dal 1935 le morti supereranno le nascite. Eppure l’economia regge, in contrasto coi drammi della Depressione altrove. Alla fine del 1929 il governo Tardieu addita ancora ai francesi un tempo di prosperità.
Invece agli inizi dei Trenta si aprono varie sofferenze. Passata la successione di bilanci statali in attivo, il 1933 segna un disavanzo. Tardieu crede d’avere imboccato la via giusta -opere pubbliche, pensioni agli ex-combattenti, altre misure per incoraggiare i consumi- ma le entrate si prosciugano. I disoccupati vanno a manifestare a Parigi. Si contano due milioni senza lavoro, e non esistono sussidi né casse integrazione. Le riparazioni di guerra tedesche non affluiscono come sperato, mentre gli USA chiedono la restituzione dei prestiti bellici. La destra guidata da André Tardieu perde le elezioni (1932) e imposta un’opposizione sempre più aggressiva, in qualche coordinazione coll’Action française, con le Croci di Fuoco (movimento dei decorati al valore), con altre leghe e gruppi antiparlamentari e antisemiti. Non mancano i simpatizzanti col fascismo.
Arrivò il 6 febbraio 1934, giorno in cui secondo i libri di storia la democrazia repubblicana fu sul punto di cadere di fronte all’assalto delle destre antisistema. In realtà fu solo una marcia su Parigi più importante delle altre. Gli scontri con le forze dell’ordine e tra opposti manifestanti fecero 15 morti e 1435 feriti. Le ripercussioni immediate furono appariscenti ma abbastanza innocue: una crisi ministeriale in più (quale il parlamentarismo francese conosceva da sempre); il gabinetto Daladier sostituito da una grande coalizione sinistra-destra capeggiata da Gaston Doumergue, ex capo dello Stato; più il tradizionale corollario di destituzioni e di avvicendamenti.
La politica francese non colse l’occasione per la presa di coscienza grave che i tempi richiedevano. La democrazia elettorale restò malata di malaffare. Il grido di battaglia urlato dai manifestanti del 6 febbraio, “A bas les voleurs!”, abbasso i ladri, anticipò come meglio non si sarebbe potuto il sentimento antipolitico degli italiani d’oggi. La congiuntura economica ebbe una normalizzazione, ma il Paese non trovò la risposta giusta alla sfida mortale presentata dall’avvento di Hitler, campione della vendetta contro Versailles, in primis contro Parigi.
Nell’imminenza della Grande Guerra era sorto in Francia un politico importante, Joseph Caillaux, presidente del Consiglio nel 1911, capo dei radicali di sinistra e il ministro che istituì l’imposta sul reddito, a proporre una linea di riconciliazione di fondo con la Germania, al costo di alcune concessioni coloniali. Esploso il conflitto, aveva avuto la coerenza e il coraggio di esplorare una via per fermare la strage, ma il terribile Clemenceau lo fece arrestare, processare e (nel 1920) condannare per intese col nemico. Un’amnistia lo riabilitò cinque anni dopo.
Nella crisi francese degli anni Trenta nessun francese si alzò a cercare di scongiurare un altro conflitto col Reich. Le sinistre ubriacate di vigilanza antifascista si coalizzarono nel Front Populaire, imitando il Frente popular spagnolo. Vincendo le elezioni generali del 1936, credettero d’avere aperto l’era dell’asserzione progressista: dunque niente riconciliazione con Berlino, e invece tanta militanza. Contro una media di una cinquantina di scioperi al mese, nel giugno 1936 gli scioperi furono dodicimila. Gli iscritti alla centrale sindacale CGT passarono da 1 a 5 milioni.
Tre anni dopo, 2 settembre 1939, Parigi al seguito della Gran Bretagna dichiarò guerra alla Germania. Nel maggio successivo l’esercito francese, ancora il maggiore d’Europa, fu sbaragliato. La Troisième République morì in giugno, dopo un settantennio di potenza e di prosperità. Aveva sbagliato tutti i calcoli a medio termine. Risorse nel 1947 come Quarta Repubblica, con tutti i difetti della Terza: nel 1953 l’elezione all’Eliseo di René Coty richiese tredici scrutini. Le crisi ministeriali si succedettero patologicamente fino al ritorno nel 1958, con pieni poteri, del ‘più illustre dei francesi’. In un settantennio la Terza Repubblica aveva avuto un centinaio di primi ministri. La nuova Costituzione dettata da Charles de Gaulle liquidò il peggio del sistema parlamentare-partitico.
Al di là delle somiglianze tra la République des voleurs, uccisa dai suoi errori, e la nostra cleptocrazia d’oggi -sempre più conclamata come malata terminale- non stiamo suggerendo che lo Stivale avrà la parabola della Troisième, la quale fece la fine peggiore in assoluto. Invece sì prevediamo che forse Francia e Italia arriveranno prima di altri paesi a ripudiare la democrazia elettorale. E’ certo al di là di ogni dubbio che essa non può non essere corrotta, e alla lunga fallimentare. Forse Francia e Italia troveranno le vie per passare dalle imposture e dalle rapine della delega elettorale a qualche formula di democrazia semidiretta e selettiva, probabilmente basata sul sorteggio tra cittadini più qualificati della media, nonché sugli avanzamenti della tecnologia.
Ciascuna a suo modo, Francia e Italia sono state scaturigini di grandi innovazioni. La prima creò il gotico e l’Illuminismo, poi uccise l’Ancien Régime e, 169 anni dopo, umiliò il parlamento e i partiti. Il nostro Stivale sta uccidendo nel disprezzo il regime-gozzoviglia dei Proci, ma nei secoli anzi millenni fu assai più creativo. Noi inventammo di tutto, dal latino e dall’impero romano al papato a lungo gestito dai nemici di Cristo, dal Rinascimento alla mafia, dai Comuni possenti all’opera lirica. Lo stesso fascismo fu imitato o ammirato abbastanza a lungo qua e là.
Al momento giusto sapremo tornare estrosi. Forse prima di francesi, spagnoli, portoghesi, greci, o chissà chi.
A.M.C.