Nella sua coerenza di ultimo dei minghettiani (nel senso di legittimisti del liberalismo), Piero Ostellino rimbrotta si può dire ogni giorno dal ‘Corriere’ l’intero popolo dello Stivale perché non si attiene a Adamo Smith. A modo suo, l’ex-direttore ha qualche ragione. Perché rinunciare a tre secoli di tradizione liberale, sia pure mummificata, allorquando il pensiero marxista è morto e il suo solo sfidante, la dottrina sociale della Chiesa, sembra Sisifo: ogni volta che si avvicina alla cima del monte, il macigno che è condannato a issarvi rotola giù a valle. A un certo punto scende in campo un superpapa un po’ argentino: e non succede niente. Il masso rotola.
Ci sarebbero, deve ragionare Ostellino, tutte le condizioni per ingiungere “Alzati dalla tomba” al liberalismo di Marco Minghetti. Invece nessuno ne vuole sapere. I nostri politici e politologi danno dispiaceri all’ex-nume di via Solferino. Allora, chi prende sotto la protezione del suo mantello protoliberale? Il Partito democratico e i sindacati. Se non ci credete, leggete “La rottamazione fa male alla Sinistra” (Corriere 29 ottobre ’14).
Chiarisce Ostellino: “Personalmente non nutrivo e non nutro alcuna simpatia per la signora Bindi né per Massimo D’Alema. Ma ciò che inquieta è che in gioco non sono loro, ma una parte della nostra storia, della nostra tradizione politica, e con essa il futuro del Paese. Il Pd avrà i suoi difetti ma rappresenta pur sempre alcuni milioni di cittadini. Di una sinistra decente e sanamente riformista c’è bisogno. Ciò di cui non c’è bisogno è un nuovo duce” (sarebbe Matteo Renzi).
Se Bindi e D’Alema non suscitavano le simpatie dell’ex-direttore scientifico dell’Ispi di Milano, dove la troverà un’incarnazione amabile della sinistra “decente e sanamente riformista”? E se essa incarnazione non è a portata di mano, se i Cuperlo i Civati i Mineo gli appaiono scarsini come competitori di Renzi, non siamo autorizzati a sospettare che non di una sinistra migliore Ostellino sente necessità, bensì di un altro David Ricardo che si alzi dalla tomba come Lazzaro di Betània, fratello di Marta e Maria?
Insomma il nucleo dell’intervento di cui ci occupiamo non è propriamente il ritorno in salute di una sinistra che boccheggia; bensì la resurrezione del liberalismo. La sostanza dell’argomentare dell’ex-grande di via Solferino è la filippica contro Renzi, colpevole di infischiarsi della scuola liberale. Lo imputa di “un’operazione personale di potere per liberarsi dei concorrenti”, di una irrisione dei sindacati “che coll’aria che tira è come sparare sulla Croce Rossa”. Infuriato al punto di definire “ragazzotto fiorentino” uno che ha dimostrato di sapere il fatto suo come nessun altro, Ostellino se la prende con un “Paese cialtrone”, con gli italiani che rischiano di “finire nel tunnel di una ridicola autocrazia mascherata da riformismo, che attraverso la leva fiscale faccia perdere loro le libertà individuali”.
Ecco il senso vero della disfida del Nostro: protestare perché qualche calcio negli stinchi del regime, invece di venire dai soliti innocui -i sindacati; i sinistri duri e puri che mai dettero vero fastidio all’One Per Cent- promette d’essere sferrato da un fiorentino che non ha riverenza per i padri nobili, destra o sinistra non importa. A Ostellino, nella concitazione, sono sfuggite persino allusioni a qualche affinità “con Stalin, Hitler e Mussolini” di un Renzi “che le stigmate dell’autocrate le ha tutte”.
Insomma, Piero Ostellino fa il Catone l’Uticense, pronipote diminutivo del Catone importante. Diminutivo, però difensore ostinato della tradizione repubblicana, senatoria, cioè classista/oligarchica, agghindata all’antitirannica. Avversò quel poco che poté Giulio Cesare, salvo a suicidarsi quando fu sul punto di cadere nelle mani del Dictator (il quale verosimilmente avrebbe perdonato lui come perdonò non pochi nemici sconfitti).
Ci permettiamo un consiglio: Ostellino torni a rimuginare su David Ricardo. Lasci perdere l’Uticense: pestava l’acqua nel mortaio, non piacque molto a Cicerone, cadde in sospetto di Pompeo di cui era luogotenente. Soprattutto, si avviticchiava al passato, laddove Cesare inventò un impero semimillenario.
Non finga Ostellino di avere a cuore il ruolo della nostra sinistra, così immeritevole. Lo angoscia piuttosto la morte del liberalismo, farmaco scaduto da ben oltre un secolo. Ce l’ha con Renzi come l’Uticense con Cesare. Ma anche Renzi, come Cesare, cerca di inventare un futuro.
A.M.C.