Due immani cetacei, un capodoglio e un’orca assassina, boccheggiano sulla spiaggia dello Stivale dove si sono arenati. Avendo ancora residui di vita, gli spasmi della loro agonia fanno impressione. In acqua erano ferocissimi, sterminavano la fauna, dilaniavano le balene, rovesciavano le baleniere, divoravano gli equipaggi. Ora muoiono.
Il capodoglio è il sinistrismo. Con Gramsci fu similbolscevico, cioè rivoluzionario a parole; divenne stalinista; poi comunista da Cinecittà; oggi è ridotto a patrocinare ardite innovazioni erotico-coniugali. Le grandi opere egualitarie di sinistra sono fallite tutte: da quelle europee del socialismo reale manu militari a quelle asiatiche del trionfo capitalista in costume Mao. I popoli del pianeta che conobbero il potere marxista lo odiano persino al di là del giusto.
L’orca è il sindacalismo finora consociato al potere. La killer whale faceva strage di foche cioè di imprese, piccole medie grandi. Se soccombono tante di queste ultime, se i jobs spariscono a milioni, se gli investitori si dileguano, è soprattutto grazie a settant’anni di ‘conquiste’ che esportano il lavoro invece che i prodotti. I giovani che il presente e il futuro sgomentano sanno che pagheranno sempre più caro il benessere quasi-borghese conseguito dai padri iperorganizzati, quando le vacche erano grasse e contrastare i sindacati era addirittura reato.
Il sindacalismo viene detto novecentesco, però la sua parabola è durata più di un secolo. La Confederazione generale del lavoro nacque solo nel 1906, ma la redenzione del proletariato cominciò nell’Ottocento. L’assalto al potere padronale fu sacrosanto allora; nel secondo dopoguerra divenne esercizio di privilegi e di omertà. Più tardi, di fronte al prorompere della concorrenza dei paesi di nuova industrializzazione, il sindacalismo si è dato al killeraggio delle imprese occidentali (che pure hanno le loro colpe).
Oggi il sinistrismo e il sindacalismo dell’Occidente propugnano solo cause perse. Fagocitati dal lifestyle consumista, i lavoratori non sono più disponibili per la Rivoluzione, che era la loro arma di deterrenza assoluta. Togliendo i mercati all’Occidente, con ciò stesso la globalizzazione cancella la ragion d’essere del sinistrismo e del sindacalismo. La storia non è finita, come almanaccava quel Fukuyama. E’ certamente finita la commedia della conflittualità rampante. Manifestare con fischietti e avvolti di rosso è sempre più cretino.
A questo punto scoppia l’autentica pandemia di casa nostra: sinistrismo parlamentare e sindacalismo escono di senno. Il 25 ottobre 2014 sono entrati in una guerra che non potranno non perdere. Era già meno folle l’intervento di Mussolini, il 10 giugno 1940.
Più i due ismi attaccheranno, più saranno sbaragliati. Uno sciopero generale moltiplicherà i voti di Renzi e lo divinizzerà come asfaltatore di confederazioni. A sinistra si interstardiranno a esigere ‘politiche per il lavoro’ le quali, richiedendo risorse, sono perfettamente inconcepibili. Nell’ordine capitalista i salari e i ‘diritti’ che si vogliono difendere presuppongono gli imprenditori; gli imprenditori presuppongono i mercati; i mercati sempre più vanno ai produttori nuovi, quelli che non pagano salari a noi.
Tutto ciò il sinistrismo e il sindacalismo lo sanno, perciò invocano gli investimenti pubblici che sono impensabili senza aggravare le tasse su tutti. “Non su tutti, solo sui ricchi” protesta la Camusso. Ma la patrimoniale grossa sui soli ricchi, pur santa, implica l’uscita dal liberismo, dal Codice civile, dall’Europa, dalle ìstituzioni della repubblica a presidenza monarchica-atlantista-obbediente agli USA-fanatica di quello sfarzo ufficiale che costa più della manutenzione di scuole e torrenti.
Dunque gli investimenti pubblici che creino lavoro sono asini che volano. Che i Fassina e le Camusso credano di proporli – non a chiacchiere innocue come di norma, ma con le lotte dure, con lo sciopero generale, addirittura coll’occupazione delle fabbriche- è prova che a sinistra si è persa la ragione. L’occupazione delle fabbriche, poi, è una trovata neo-gramscista che sembra uscita dalla comicità al semolino di Erminio Macario.
Giorni fa il guru Massimo Cacciari ha rimproverato a Matteo Renzi d’avere annunciato un’epocale fine del posto fisso senza curarsi dello sgomento suscitato. Ma per chiudere la bocca a questo Renzi che si vuole thatcherizzato occorrerebbe saper fare la rivoluzione. La sanno fare Cacciari Camusso Fassina Landini? Se sì-ehm- diranno ai milioni di seguaci immaginari che dopo la rivoluzione non ci saranno né buste paga né conquiste né diritti: solo distribuzione di utili eventuali e magri (l’Asia sempre più produrrà per il pianeta intero)?
Diranno ai loro guerrieri che, mancando la rivoluzione, la salvezza verrà solo da una Mitbestimmung assai meno dolce per i lavoratori di quella germanica?
Diranno che il benessere anni Ottanta è da dimenticare, la decrescita forte da accettare, le umili virtù e le scodelle di minestra di padri e nonni da riscoprire?
A.M.C.