Si tende a pensare che i fatti più atroci della nostra Grande Guerra -le decimazioni- siano avvenute a Caporetto (ottobre 1917). Invece tra maggio e giugno 1916, quando la Strafexpedition austriaca minacciò da tergo il fronte dell’Isonzo e il nostro Comando considerò la possibilità di una ritirata al Piave- cominciarono i cedimenti del morale, cui seguirono le fucilazioni senza processo e il fuoco delle a rtiglierie e mitragliatrici italiane su alcuni nostri reparti che cercavano di arrendersi al nemico.
Il ministro della Guerra, generale Morrone, tornato il 29 maggio dal fronte, riferì ai colleghi del governo che un generale aveva freddato personalmente 8 militari che fuggivano. Un comandante di corpo d’armata aveva ordinato a un drappello di carabinieri di sparare su una “ondata di nostri fuggenti”. Piombato sul comando dell’altopiano di Asiago il generalissimo Luigi Cadorna, capo di Stato Maggiore dell’Esercito, fu sentito urlare dai piantoni “fucilate senza processo, mi assumo la responsabilità!”. Il giorno dopo una sua lettera ufficiale a tutti i comandi intimò: “L’E.V. faccia passare per le armi immediatamente e senza alcuna procedura. Sull’Altopiano si deve resistere e morire sul posto”.
La fucilazione il 28 maggio di un sottotenente, tre sergenti e otto uomini di truppa del 141° reggimento di fanteria fu la prima decimazione del nostro esercito; Cadorna emise un ordine del giorno per elogiare in grande il colonnello che aveva dato l’ordine (in un anno di aspra guerra mai un encomio solenne era andato a un nostro ufficiale). Giorni dopo, 11 giugno, il comandante del XIV corpo d’armata fu destituito per non avere messo a morte, ma solo deferito al tribunale di guerra, alcuni ufficiali. Al fronte e nel paese si diffuse la diceria che fossero stati passati per le armi, sommariamente, persino dei generali.
Ai primi di luglio, sempre 1916, reparti dell’89° reggimento della brigata Salerno sul fronte Monte Nero-Merzly (Trentino) furono cannoneggiati e mitragliati per ordine dei nostri comandi. Questo perché alcuni feriti, dopo due giorni e due notti nella terra di nessuno sotto il fuoco sia nemico sia amico, si erano dati prigionieri. Vari militari dell’89° reggimento furono fucilati: uno dichiarato ‘reo’, tre indiziati, quattro estratti a sorte.
Cadorna lodò: “Sui passati vilmente al nemico, tutti appartenenti al III battaglione dell’89° reggimento di fanteria, si dirigeva, implacabile giustiziere, il fuoco delle nostre artiglierie e mitragliatrici. Il provvedimento ha incontrato la mia incondizionata approvazione, convinto come sono della necessità di una ferrea disciplina di guerra”. Il comandante supremo esigeva che le misure estreme fossero immediate, anche perché per lui le corti
marziali erano “affette dallo stesso morboso sentimentalismo che dominava il paese, e raramente pronunciavano sentenze capitali”. In proseguo Cadorna, agli inizi della guerra correntemente dichiarato “geniale” da giornalisti e memorialisti suoi dipendenti -p.es. dal colonnello di Stato Maggiore Angelo Gatti, futuro celebrato storico militare- si compiacque che il 31 ottobre 1916 il duca d’Aosta, comandante della III armata, avesse ordinato una decimazione di propria iniziativa.
Nessun comandante poteva sottrarsi all’obbligo “assoluto e inderogabile” di applicare la pena di morte o di ordinare le decimazioni. Del resto Cadorna sosteneva che tutti gli eserciti moderni, non solo il suo, meritassero le punizioni draconiane, in quanto “accolte improvvisate di grandi masse, ineducate ai sentimenti militari, anzi educate dai partiti sovversivi all’antimilitarismo”.
Ripetiamo: tutto ciò non nei giorni di Caporetto, ma nel 1916. Tecnicamente Luigi Cadorna poteva imporre la durezza implacabile. Ma probabilmente a Norimberga sarebbe stato impiccato come Wilhelm Keitel, suo pari grado di una guerra dopo, chissà se ‘geniale’ come il conte Cadorna. Il quale dopo Caporetto fu sostituito da Armando Diaz. Ma per le carneficine delle XI battaglie dell’Isonzo, da lui fermissimamente volute nella fede nella superiorità dell’attacco frontale, fu premiato col dono di un palazzo a Pallanza, già avito; nel 1925 fu elevato con Diaz a maresciallo d’Italia. L’anno dopo divennero marescialli ‘d’esercito’ i generali Emanuele Filiberto di Savoia-Aosta, Pecori Giraldi, Caviglia, Giardino e Badoglio. Per Carlo Porro, numero Due del Generalissimo, si ripiegò sulla strana nomina a ministro di Stato.
A Milano nessuna amministrazione di sinistra ha tolto il nome di Cadorna da una delle piazze più importanti della metropoli. Le vittorie di sinistra resteranno sempre inutili se, tra l’altro, non affermeranno il diritto dell’uomo individuo di non uccidere/farsi uccidere per la Patria. L’infanticida Patria, secondo Cadorna, era padrona delle vite dei seicentomila caduti di quella guerra. Un secolo dopo, la sinistra delle Istituzioni, da Napolitano a D’Alema, persino a Matteo Renzi, pensano in ultima analisi come Cadorna. Infatti comprano F35 e partecipano ubbidienti alle spedizioni del Pentagono. L’uomo del Colle è addirittura infatuato di panoplie guerresche: non perde occasione per additare i valori, i meriti e gli elmi delle FF.AA. Dunque aveva ragione il casalingo Wilhelm Keitel della nostra disdetta.
A.M.C.