Juan Carlos liquidò il regime franchista. L’ex Principe delle Asturie avrà un senso se liquiderà il regime dei partiti ladri
Fu logico che la Spagna accettasse la monarchia, resuscitata dal Caudillo come argine contro il ritorno del sinistrismo. Fu logico che il 27 febbraio 1981 il sovrano difendesse la Transicion al parlamentarismo, ordinando alle Forze armate di spegnere il tentativo di golpe del tenente colonnello Tejero. Pochissimo tempo dopo gli spagnoli appresero di avere imboccato col felipismo -la gestione governativa dei socialisti “craxiani” di Felipe Gonzales- la via dell’Italia: marcia accelerata verso la prosperità consumista a credito, contemporaneo trionfo della corruzione. Anche questo gli spagnoli accettarono, comprati dallo sviluppo. Dopo quattro secoli che erano stati famelici per la maggior parte della nazione, lo sviluppo era una beatitudine senza prezzo. Valeva bene il regresso alla monarchia morta nel 1931, quando Alfonso XIII, nonno di Juan Carlos, pacificamente/signorilmente partì per l’esilio. Le città spagnole (non le campagne) festeggiarono. La Repubblica nacque nell’euforia.
Vari decenni dopo, il ritorno per ordine del Caudillo ai riti, ai fasti e alle insulsaggini della Reggia non costò troppo ai settori sociali che avevano idolatrato la repubblica, visto che i restaurati Borboni avevano indossato i panni di una monarchia aperta al progresso. La quale, oltre a tutto, maneggiava scettro e corona in modi amabili: per dirne una, il Re premiò col titolo di marchese il grande musicista cieco Joaquin Rodrigo (Concierto de Aranjuez). Se avesse sconfitto Franco nella Guerra civile, anche la Repubblica avrebbe premiato l’impareggiabile Rodrigo, però come Compositore proletario.
Tutti sanno che la ‘Bonita Republica’ deluse subito le speranze più accese. Gli incendi di chiese e di conventi, le altre violenze anarchiche cominciarono immediatamente. Poi nell’ottobre 1934 ci fu il serio conato rivoluzionario delle Asturie, represso nel sangue. Avendo portato alla Spagna solo le riforme laiciste di Manuel Azagna, non la terra ai contadini né il riscatto agli altri proletari, le Istituzioni repubblicane risultarono presto condannate.
Queste cose le ricordano in proprio solo i vegliardi. Oggi quasi tutti gli spagnoli sarebbero razionalmente portati a sbarazzarsi del vecchiume monarchico. Ma ci sono i media del mondo intero a far loro conoscere i misfatti che i mestieranti della politica compiono in quasi tutte le repubbliche, dalla mezza Cipro agli Stati Uniti d’America. Così gli spagnoli, come i sudditi di altre corone, si tengono i sovrani.
Come sono personalmente questi ultimi, non conta molto. E’ dubbio che gli olandesi si curino più del minimo delle qualità umane di re Guglielmo Alessandro. Idem per la gente di altri otto o nove reami d’Europa, tutti ad alto reddito, tutti immersi nella modernità. Una testa coronata, anche se semivuota, sempre meglio di un volpone della politica. Gli spagnoli potranno o no spasimare per penetrare la mente e il cuore del marito della regina Letizia Ortiz. Il quale marito ha preso il nome del primo Borbone di Spagna, Filippo V, il francese nipote del Re Sole, il quale salì sul trono madrileno nel 1700 e scatenò la lunga Guerra di successione spagnola.
La parabola di re Juan Carlos si è svolta parallela a quella della politica nazionale a partire dalla morte di Franco. Ci fu il vano tentativo del premier Carlos Arias Navarro di prolungare il franchismo senza Franco. Il successore del Caudillo lo liquidò e fece in modo che i maggiorenti scegliessero il suo amico Adolfo Suarez, brillante ex-segretario del partito di regime, quale gestore della Transizione all’elettoralismo e ai partiti. La Transizione fu un successo pieno: i feroci contrasti della Guerra civile non rinacquero; i franchisti, cominciando dai militari, rinunciarono a resistere; gli antifranchisti rinunciarono a vendicarsi. Nel 1978 fu approvata una Costituzione all’italiana. Suarez, fatto duca, lasciò il governo nel 1981, tre settimane prima del tentativo di golpe del colonnello Tejero. Leopoldo Calvo Sotelo -nipote dell’importante ministro della Dictadura
il cui assassinio per mano di ufficiali di sinistra fece detonare la Guerra civile- governò per pochi mesi dopo Suarez; la Reggia gli assegnò un più modesto marchesato; dopo, modernizzante com’è, non risulta abbia nobilitato altri primi ministri.
Il potere del socialista Felipe Gonzales (1982-96) coincise col dilagare della corruzione. Da allora le tangenti e il malaffare all’italiana sono il fatto quotidiano di una nazione che nel passato si era fatta dilaniare dalle fedi, politiche e non. I trentanove anni di regno di Juan Carlos sono stati, non per sua colpa ma nella logica del sistema parlamentare-partitico da lui installato, la negazione dei nobili valori di cui la democrazia si diceva portatrice. In teoria gli spagnoli potranno presentare il conto a Felipe VI. In teoria aspireranno a liberarsi di una cleptocrazia partitica che si è dimostrata peggiore della vecchia oligarchia dei notabili liberali e dei grandi agrari, quella che nel 1923-30 fu soppiantata dalla dittatura militare del generale Primo de Rivera, Grande di Spagna ma filosocialista.
Il nuovo Re introdurrà elementi di novità solo se vorrà aprire una fase dinamica. diciamo pure “renziana”, quasi opposta a quella del quarantennio postfranchista. I due grandi partiti di sistema -il centrodestra di Rajoy e il Psoe di Rubalcaba- risultano indeboliti dal successo di nuovi soggetti politici nelle europee del 25 maggio. Tali soggetti saranno interessanti solo se porteranno avanti l’unica idea nuova dei nostri tempi: la sperimentazione di questa o quella formula di democrazia diretta, assistita o no dalla telematica. Alternative all’oligarchia diverse dalla chiamata al potere, attraverso il sorteggio, di cittadini qualificati (onde non ripiegare sul governo autoritario) non si conoscono. Si conosce solo il tirare avanti con congegni obsoleti.
Se Filippo VI non promuoverà le innovazioni con l’energia dimostrata dal padre un trentennio fa, presto o tardi la Spagna vorrà liberarsi della monarchia.
A.M.C.