DUE SFORTUNATE REPUBBLICHE DI SPAGNA UNA TERZA SAREBBE LOGICA, PERO’ OPPOSTA ALLA NOSTRA

Nei giorni che le piazze spagnole, dopo l’abdicazione di Juan Carlos, si movimentano di manifestazioni repubblicane -per quello che valgono le manifestazioni- vale la pena di ricordare che la repubblica più famosa, quella radical-progressista poi sinistrista nata nel 1931, cominciò a morire ottant’anni fa precisi, giugno 1934: sciopero generale politico dei braccianti e contadini poveri, poi ribellione della Catalogna anarcosindacalista, infine nell’ottobre, sempre 1934, la rivoluzione degli operai e dei minatori delle Asturie, spenta dall’artiglieria. Alcune migliaia di morti, migliaia di corti marziali, una repressione feroce come aspre erano state  le vendette dei proletari e temerari i propositi di edificazione libertaria rivoluzionaria.

Insorgendo, i braccianti, i minatori, i manovali urbani  proclamarono una dura verità: la Repubblica sinistrista non aveva dato nulla al popolo, a parte le parole d’ordine anticlericali e barricadiere, la tolleranza degli incendi di chiese e monasteri e delle violenze classiste; a parte un po’  di scuole più che in passato.  Tra il 1923 e il 1930 il dittatore filosocialista Miguel Primo de Rivera, benché generale e Grande di Spagna, aveva beneficato assai più i proletari. Fu per questo che i lavoratori  dettero chiari segni di avversare la Repubblica degli intellettuali laicisti e massoni, molto più protesi ad asserire se stessi e i loro valori che le rivendicazioni delle plebi.

L’insurrezione delle Asturie e di una parte della Catalogna, più alcuni focolai a Madrid e altrove,  fecero  sorgere delle effimere dittature proletarie e anarchiche, poi le soverchianti unità repubblicane,  comandate da un generale Franco allora leale allo Stato, stroncarono la rivolta. L’ottobre 1934 allargò un groviglio di conflitti secolari, cominciati nel 1808, in coincidenza con la ribellione antifrancese. Nel 1834 si era aperta una successione di guerre carliste, più sanguinose di quel che oggi si creda, finché nel 1898 la disfatta nel conflitto con gli Stati Uniti, con la perdita di Cuba, di Puerto Rico e delle Filippine fece cadere la Spagna in una cupa depressione morale. L’esercito che tornò dalle colonie perse trovò un paese costernato e immiserito, e lo aggravò delle proprie frustrazioni e pulsioni.

Seguirono anni sempre più agitati. Nel 1909 l’odio di classe scatenò a Barcellona una sanguinosa “Semana Tragica” in cui la Chiesa soffrì l’anticipazione degli assalti del 1936 . Nel 1917 uno sciopero generale rivoluzionario dovette essere schiacciato dall’esercito. “La dittatura militare instaurata nel 1923 da Primo de Rivera -scrive Hugh Thomas nella sua Storia della guerra civile spagnola- fu il solo regime che dall’inizio del secolo desse al paese un periodo di relativa calma. L’opposizione liberale riuscì ad espellere il dittatore (1930) e il re (1931) ma non dette alla Spagna un assetto democratico capace di soddisfare le aspirazioni della classe operaia”.

L’insurrezione del 1934 fu dunque l’annuncio e il primo atto della Guerra civile di due anni dopo. Dopo il 1934 -notava l’ambasciatore L.Incisa di Camerana, uno degli italiani che meglio conoscono la Spagna- “le sinistre giungeranno a un diapason di verbosità rivoluzionaria che neppure la vittoria elettorale del ’36 riuscirà a contenere. Miguel de Unamuno affermò che la Repubblica del 1931 era diventata ‘una pozzanghera infetta’. José Ortega y Gasset, uno dei triumviri che avevano lanciato il programma repubblicano, si ritirerà disgustato”.

Non tutti i giovani spagnoli che in questi giorni invocano la fine della monarchia -senza dubbio un’istituzione del passato- sanno o ricordano che la repubblica del 1931 fu la seconda esperienza non monarchica del paese. La prima sorse nel 1873, dopo i decenni delle guerre carliste, le disavventure del regno di Isabella II e la fuga in Francia di quest’ultima. Dopo l’insuccesso di altri tentativi di trovare all’estero un sovrano per la Spagna, nel 1870 fu messo sul trono madrileno il duca Amedeo d’Aosta, secondogenito di Vittorio Emanuele II. Abdicò meno di tre anni dopo. La Prima Repubblica che gli seguì si spense in pochi mesi, “incastrata tra la Vandea carlista e l’insurrezione cantonalista delle province meridionali e orientali”. La Seconda Repubblica, quella della leggenda antifranchista, anarchica e comunista, ebbe la sorte della Prima: “Pochi mesi sono passati dalla sua proclamazione e nelle caserme già si congiura, già bruciano nelle città le chiese e i conventi;  nelle campagne gli anarchici già attaccano i municipi e i posti della Guardia Civil” (Incisa di Camerana).

Tutto ciò, per dire cosa? Che se la monarchia riesumata dal Caudillo ebbe un senso per sovrintendere alla liquidazione del franchismo, un quarantennio dopo il suo ruolo appare finito. Ma anche che una riesumazione della repubblica, dopo due precedenti sfortunati e dopo la massiccia importazione dall’Italia del costume corruttivo, non avverrebbe sotto auspici benevoli.

A.M.C.