Le elezioni europee ed amministrative 2014 si sono appena concluse e, come era facilmente prevedibile, il risultato più netto ed inequivocabile è stata l’affermazione del “partito degli astensionisti” che ha raggiunto, in Italia, il picco record del 42.8% sul totale degli aventi diritto al voto, con un calo di votanti pari a ben 8 punti percentuale rispetto alle passate europee. Nel resto d’Europa l’affluenza alle urne è stata, in molti casi, ancora più bassa, tanto che i valori medi dell’astensionismo per i Paesi dell’Unione si assestano intorno al 57%: più della metà dei cittadini europei, quindi, sono rimasti a casa. E non è solo l’Europa a soffrire di questo male. Perfino negli Stati Uniti, spesso citati come prototipo delle democrazie moderne, circa il 60% degli elettori diserta, ormai da anni, sistematicamente, le urne. Ma può definirsi sana una democrazia in cui i rappresentanti vengono scelti da meno della metà dei rappresentati? Può definirsi sana una democrazia in cui i cittadini vengono coccolati e corteggiati solo in occasione degli appuntamenti elettorali, ma il cui voto viene poi spesso disatteso e tradito da una classe politica che, oggi più che mai, si è ridotta ad una vera e propria “casta”, finendo per rappresentare solo se stessa in un tragico avvitamento autoreferenziale che testimonia sempre più il grave distacco esistente fra i palazzi del potere e della politica ed i cittadini comuni?
In questo contesto è fin troppo facile dare la colpa ad un presunto disinteresse dei cittadini, come fanno i partiti tradizionali, o cavalcare l’onda della cosiddetta “antipolitica” cercando di trarne un vantaggio personale, come fanno invece i numerosi movimenti antisistema che, negli ultimi anni, stanno dilagando soprattutto in Europa (il Movimento 5 Stelle in Italia, il Front National della Le Pen in Francia, i Piraten in Germania, lo UKIP in Inghilterra, i neonazisti di Alba Dorata in Grecia). Ma, se la democrazia è malata, può l’antipolitica rappresentare la cura? Siamo davvero convinti che basterà uscire dall’Euro e tutti i problemi si risolveranno automaticamente? Che basterà mandare a casa tutti gli attuali parlamentari e sostituirli con volti nuovi e le cose cambieranno in meglio da sole? A noi pare improbabile. Piuttosto, siamo convinti che i livelli patologici di astensionismo siano il sintomo di un malessere più profondo, che investe i fondamenti stessi della democrazia rappresentativa, come è dimostrato proprio dall’affermarsi dei movimenti di protesta. La maggior parte di chi non va a votare non lo fa per disinteresse verso la politica: al contrario, i cittadini protestano perché vorrebbero avere un peso maggiore nelle decisioni che riguardano il loro presente e il loro futuro, un ruolo da protagonisti che oggi non hanno e che non può limitarsi nell’apporre una croce su una scheda elettorale una volta ogni cinque anni. Tanto più che, come già detto, non si sentono più rappresentati dai candidati proposti dai partiti. Se non vanno a votare, dunque, è semplicemente perché non saprebbero per chi votare. E così, una minoranza finisce per decidere per tutti.
Ebbene, riteniamo che una soluzione a questi problemi potrebbe oggi arrivare da una direzione inaspettata, apparentemente insolita, anche se, storicamente, ha una lunga tradizione che affonda le sue radici nell’antica Grecia e nel Rinascimento europeo (in particolare a Venezia): l’uso della sorte per selezionare una parte dei parlamentari. Nel 2012, nel libro “Democrazia a sorte: ovvero la sorte della democrazia”, pubblicato da Malcor D’ Edizione (autori: M.Caserta, C.Garofalo, A.Pluchino, A.Rapisarda, S.Spagano), abbiamo proposto un modello matematico che va esattamente in questa direzione, supportandolo con i risultati di numerose simulazioni numeriche effettuate su un Parlamento virtuale. Nel nostro modello, infatti, una parte dei seggi di una Camera del Parlamento sono riservati a comuni cittadini estratti a sorte, il cui voto, indipendente da quello dei partiti, potrebbe, da un lato, rendere più efficiente il meccanismo di produzione di leggi benefiche per la collettività (come dimostrato, appunto, dalle simulazioni), dall’altro, restituire ai cittadini medesimi quella forma di partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica che da troppo tempo la democrazia rappresentativa, basata esclusivamente sulle elezioni, ha negato loro.
Soluzioni simili, non basate su modelli matematici ma sul semplice buon senso, sono in realtà state avanzate, negli ultimi anni, anche da diversi politici, giuristi e giornalisti: si veda, ad esempio, la proposta di Segoléne Royal, di qualche anno fa, di inserire giurie popolari di cittadini sorteggiati nel Parlamento francese, oppure quella di Michele Ainis di prevedere una Camera di cittadini estratti a sorte (Corriere della Sera del 02/01/2012), o anche quella di Paolo Flores d’Arcais (Il Fatto Quotidiano del 24/04/2012) di dare ai cittadini, al momento del voto, l’alternativa di esprimere la propria preferenza per un partito/candidato o di iscriversi ad un sorteggio, riservando poi ai sorteggiati una percentuale di seggi pari a quella di chi non ha dato fiducia ai partiti. Quest’ultima proposta è particolarmente interessante in quanto consentirebbe di tradurre l’astensionismo in una occasione di partecipazione concreta. Se è vero, come mostrano le nostre simulazioni, che una qualunque percentuale di deputati indipendenti migliorerebbe l’efficienza legislativa di un Parlamento, legare questa percentuale al numero di astensioni e schede bianche o nulle avrebbe infatti il vantaggio di dare una rappresentanza politica anche a chi non ha trovato una possibilità di scelta nel panorama delle candidature offerto dai partiti.
Che oggi, dopo alcuni secoli di dominio incontrastato dell’equazione del tutto opinabile democrazia=elezioni, si stia ridestando un grande interesse per questo tipo di soluzioni basate sull’uso benefico del sorteggio in politica, è testimoniato pure dal fatto che il Congresso Mondiale di Scienze Politiche IPSA (www.ipsa.org), che si terrà quest’anno, a fine luglio, a Montreal in Canada, ha dedicato una intera sessione a questo argomento, invitandoci a presentare e discutere il nostro lavoro. Sarebbe certamente auspicabile che anche nel nostro Paese, soprattutto in un momento come questo in cui sono all’ordine del giorno importanti riforme come quella della legge elettorale e del Senato, possa aprirsi un dibattito serio e senza pregiudiziali su questi temi, e magari, perché no, possa immaginarsi una prima sperimentazione di questi modelli misti di elezioni e sorteggio a partire dalle assemblee locali, come i comuni o le regioni. In fondo, sono modelli che hanno funzionato benissimo per secoli. Cosa abbiamo da perdere?
Alessandro Pluchino – Andrea Rapisarda – Dipartimento di Fisica e Astronomia Università di Catania (26 Maggio 2014)
I due autori discuteranno il loro lavoro al Congresso Mondiale di Scienze Politiche IPSA (www.ipsa.org), che si terrà quest’anno, a fine luglio, a Montreal in Canada