DIFENDONO UN SENATO DA AZZERARE GLI AGONIZZANTI DEL SINISTRISMO FATUO

Uno spagnolo di grosso calibro, che ai suoi pari preferiva i popolani, chiamava i notabili liberal-conservatori che aveva sbaragliato “los politicastros”. Come non denominare “los profesorastros” la manciata di attempati accademici di sinistra, più una malcapitata sacerdotessa, che hanno levato l’allarme sullo smottamento della democrazia se finirà il bicameralismo perfetto? Di veramente perfetto c’è piuttosto la comicità delle cose che dicono e fanno los profesorastros.

Augusto Barbera, senatore PC per 18 anni, ministro per 4 giorni con Ciampi, soprattutto ordinario costituzionalista a Bologna, non ha usato mezzi termini per ridicolizzare le sentinelle della democrazia (Rodotà, Zagrebelski eccetera): “Non vedo proprio cosa ci sia di autoritario nella riforma Renzi. Quattro costituzionalisti non rappresentano i circa duecento costituzionalisti italiani. Sono sbalordito a sentire che il monocameralismo depotenzierebbe il parlamento. Parte della sinistra vuole rafforzare non il parlamento ma i suoi poteri di veto: ai quali poteri le due Camere si prestano in modo eccellente. (…) Facciamo una Camera sola. A costo di dare ragione a Berlusconi, bisogna riconoscere che tra i premier europei l’italiano è quello che ha meno potere”.

Il professore Arturo Parisi, anch’egli ex-ministro, ha liquidato così il conato dei talebani della Più Bella: “Gente che dopo la rottura del 1993 ha lavorato per la continuità, anzi per la restaurazione”. Per il cattedratico Gian Enrico Rusconi “le tante belle parole dei professori non hanno prodotto nulla. Non è così che si convince una generazione che si sente presa in giro dalla politica”.

Il rigetto più articolato del Non Possumus dei profesorastros lo si deve all’accademico Luca Ricolfi, coll’articolo “I feticci abbattuti dal Premier” (La Stampa). Per Ricolfi non sono solo feticci, anche “dogmi pregiudizi miti totem e tabù” che imprigionano i vati della cultura progressista, i “venerati maestri” come li chiamava Edmondo Berselli. “Se oggi l’Italia è profondamente diseguale, con una frattura micidiale tra garantiti e non garantiti, è perché per decenni ci siamo tenuti questa sinistra miope e conservatrice. Nel loro desiderio d’essere ascoltati dal Principe, i professori tipo vate si stupiscono che la politica non abbia bisogno di loro. Ma a volte è stato un bene che la politica non abbia ascoltato i narcisisti e gli ingenui”.

Massimo Gramellini, senz’essere un accademico, non ha negato il suo cachinno alla “conventicola di intellettuali che da decenni dice no a qualsiasi tentativo di cambiare questo sistema sclerotico (e che oggi si stringe come una vecchia cintura di castità intorno al povero Tsipras”). Coll’occasione segnaliamo che Gramellini si è ascritto a una faceta congregazione dei “boldrinologi”. La loro taumaturga è un caso limite di engagement da vaudeville.

Fin qui abbiamo lasciato fare ad altri, tanto più illustri, il lavoro perditempo e innecessario di criticare con le buone maniere i bonzi della Sinistra degli Avelli. Per conto nostro crediamo non ci sia scherno che basti a dire agli isterici e ai fissati il fatto loro. Sono gli ultimi zelatori/zeloti di una causa che hanno fatto morire senza gloria col settarismo praticato dai giorni della “vittoria” del 1945. Il comunismo degli intellettuali è una delle imprese fallite con più disonore in assoluto; laddove il quasi-comunismo caritatevole dettato dall’anelito religioso è ben vivo, anzi si rafforza: dal cattolicesimo di base al solidarismo dei Fratelli musulmani. Quanto alla carità dei laici, essa non esiste.

Esiste l’esilarante deplorazione della Boldrini che il lussuoso Grand Hotel di prossima apertura a Torino, 5 stelle, si chiamerà Gramsci (in quell’edificio il Fondatore ebbe l’alloggio, la redazione di Ordine Nuovo e la plancia-comando della Occupazione delle fabbriche (1921), prova generale a Torino della rivoluzione dei soviet operai fantasticata da Gramsci e seguita, of course, dalla Marcia su Roma). La bluebell di Montecitorio ha stigmatizzato la profanazione, facendo capire che in futuro scenderà col suo compagno solo in dormitori low cost, o in agriturismi per immigrati cingalesi.

Nel passato la spocchia dei sinistristi intellettuali ha dato potere e ricchezza a loro; nulla alla loro causa, che infatti rantola. In quasi un secolo di cultura ‘aggiornata’ la spocchia non ha prodotto alcun costrutto. In compenso ha contribuito in grande a far detestare dalle masse, persino odiare, i valori e gli obiettivi della sinistra. Oggi il berlusconismo sopravvive solo perché esistono zattere di naufraghi comunisti; perché sono stati troppi i vanti bugiardi della cultura marxista (spesso rappresentata da gente dello spettacolo e da orecchianti); perchè non si spengono i ricordi dei misfatti bolscevichi, staliniani, partigiani, et cet.

Pervenuto, per gli errori dei suoi avversari, a successi insperati e implausibili, il comunismo è morto dopo pochi decenni di potere e di vanagloria, laddove le grandi idee-forza durano millenni. Gli ultimi comunisti invasati si sono ridotti al calvinismo da ridere dei diritti e alla socialità burlesque della Boldrini.

Per queste amare riflessioni di chi, assieme a innumerevoli milioni di illusi, aveva sperato nel comunismo degli ideali, lo spunto era il Senato. Ma non merita che ne ragioniamo. Il doppione Senato va semplicemente cancellato in tutto, in simultanea al dimezzamento della Camera superstite e alla nanizzazione di stipendi, pensioni, vitalizi e fringe benefits. Ai dipendenti di ogni grado della Camera Superflua, così come a quelli del CNEL (che non è una camera ma un ripostiglio istituzionale, per il quale dobbiamo gratitudine eterna ai Costituenti del 1948) non andrebbe assicurata alcuna ricollocazione, solo un soccorso alimentare, 700 mensili.

Quando Dio vorrà nemmeno una monocamera sarà elettiva; ‘elettiva’ è una parola sporca, da non pronunciare a tavola: vuol dire prodotta dalla frode dei politici professionisti. Un giorno sarà il sorteggio, non il meccanismo della spoliazione elettorale, a reclutare i legislatori, i patres conscripti ( si chiamarono così i senatori dopo che la riforma di Servio Tullio ammise in Senato i maggiorenti plebei). Nei secoli della gloria, di Roma come della repubblica di Venezia, i parlamenti manco a dirlo erano monocamerali.

Porfirio