SE FINIRA’ PERDENTE, RENZI NON MOLLI CHIAMI IL POPOLO CAMBI DEMOCRAZIA

E’ eccellente che il Premier fiorentino tenti di abbattere i bastioni del passatismo. Che aspiri a deviare il fiume della nostra storia, dal declino al rifiorire. Però il sistema, il vecchiume, il contesto, la corrente del fiume saranno più forti di lui, alla fine, se vorrà agire solo entro le regole e le prassi della Costituzione. In ultima analisi la legalità è dalla parte dei nemici suoi e nostri.

Un esempio marginale: il presidente del Consiglio dice di voler muovere guerra ai mandarini inamovibili e detentori di troppo potere; più in generale, guerra alla burocrazia deteriore. Ma assicura che sarà guerra “rispettando i diritti acquisiti”. Ebbene, se non cancellerà i diritti acquisiti -in barba alla Consulta, ai Tar, alle corporazioni, alle lobbies, più ancora in barba al Codice civile, il presidente del Consiglio potrà solo esonerare i burocrati grossi e piccoli mantenendo loro paghe, privilegi, possibilità di sabotare. Che guerra sarà?

Il presidente del Consiglio annuncia riforme e iniziative immediate, da un centinaio di miliardi. Ma non le compirà senza rotture aspre, tutt’altro che condivise: aggressioni ai grandi patrimoni e ai redditi superiori, sconsacrazione e vendita di pagode della Repubblica: cominciando dalla Reggia pontificia-sabauda, dalle ambasciate e perché no, trasferendo in periferia i sommi palazzi, Chigi compreso. Attendono Matteo Renzi le dodici fatiche d’Ercole, ma egli non è il figlio di Zeus, che quand’era in fasce strozzò due serpenti mandati contro di lui da una dea gelosa. E’ solo un politico della Malarepubblica, dieci volte più brillante, cento volte meno spregevole degli altri.

Lo stato presente dell’Italia è più o meno quello, grave, della Germania 1923, schiacciata dalle Riparazioni di Versailles e soccorsa alquanto dall’americano Piano Dawes; quello agonico della Spagna (dilaniata dal conflitto sociale, dagli omicidi politici, dal coma del parlamentarismo dei notabili) alla vigilia della salvifica dittatura di Miguel Primo de Rivera; del Portogallo nell’imminenza del golpe militare e dell’ascesa di Salazar; della Grecia sconfitta e umiliata da Ataturk.

La compagine di Renzi farà quello che potrà, ma le condizioni generali dell’organismo Italia resteranno tali da frustrare perlomeno i programmi più ambiziosi. A quel punto, elezioni o no, puniti o no coloro che avranno contrastato i conati di rinnovamento, Renzi sarebbe supposto di ritirarsi a favore di un federatore della vecchia politica.

Oppure… Oppure dovrà mettere da parte gli scrupoli legali e le maniere educate. Dovrà impiegare con ancora più crudezza le tecniche che in tre mesi stupefacenti gli hanno dato prima il suo partito, poi il governo. Dovrà forzare o ripudiare le regole del gioco che da un settantennio la danno vinta all’usurpazione partitico-cleptocratica.

Tornare al regime che ci ha portato dove siamo è inconcepibile. Saranno le famiglie senza pane, i giovani senza speranza, le legioni dell’antipolitica a insorgere contro tale ritorno. L’insurrezione cruenta non sarà l’unico ricorso. Potranno prevalere senza violenza quelle forze antisistema che promettano di operare le rotture cui Matteo Renzi non sarà riuscito. La legalità non merita di prevalere ad ogni costo: solo se è capace di soluzioni positive. Senza eversione è impossibile innovare.

Oggi Renzi appare l’ultima cartuccia del sistema sorto nel 1945 e codificato dalla Carta di tre anni dopo, sistema evidentemente non imperituro. Eppure potrà essere lui stesso, ipoteticamente fatto naufragare dalla vecchia politica, a inventare i modi per liquidare la democrazia rappresentativa, a galvanizzare il popolo contro l’oppressione dei peggiori. Per l’uomo che ha saputo ascendere come nessuno in Europa, galvanizzare non sarà troppo arduo.

Oppure sarà altri, portato sugli scudi e reso irresistibile dall’esasperazione collettiva, a condurre le masse. Condurle nel passaggio da una democrazia rappresentativa che agonizza, a questa o a quella formula di democrazia randomcratica e digitale, senza urne, senza politici di professione, con partiti ridotti da “forze” a “non entities”.

Siamo entrati nel Terzo Millennio, i fideismi di un tempo meritano di spegnersi.

Antonio Massimo Calderazzi