Il teorico del sindacalismo rivoluzionario, l’ammiratore di Lenin, l’amico di Bergson e di Croce, l’avversario del marxismo storico e, più ancora, del conformismo democratico e parlamentare, fu (scriveva quarant’anni fa lo storico Gabriele De Rosa) “uno degli spiriti forti che agli inizi del Novecento erano ansiosi per le sorti della borghesia attratta dalla voragine della democrazia giolittiana. Era convinto che il convergere radical-socialista fosse “la via escogitata dalla borghesia capitalistica per corrompere il proletariato.”
“Sorel -scriveva ancora De Rosa- ha sete di purificazione ideale, affida la bandiera proudhoniana della riscossa morale a uno Stato rivoluzionario e proletario”. Di un proletariato estraneo al riformismo economicistico, al parlamentarismo, alle indulgenze borghesi. Non si stancherà di ripetere che i cattivi socialisti sono i nemici più pericolosi della classe operaia. Portava il bagaglio composito di una tradizione culturale francese, da Proudhon a Renan, a Péguy, a Maurras, nata dalla rivolta antigiacobina e moralistica del risentimento dei filosofi riformatori contro la decadenza politica e civile della Francia, immersa nella democrazia individualista”.
Un secolo dopo, gli anatemi di Sorel valgono anche contro i gestori
della società politica italiana. La sudditanza d’oggi al capitalismo, al consumismo, agli Stati Uniti, al buonismo, alla furfanteria di regime sarebbero bersagli ideali per l’ingegnere-pensatore che morì (1922) sognando ancora la “Repubblica dei produttori”, una comunità di idealisti. Quando scriveva “i nostri parlamentari non sono in alcun modo capaci di interessarsi alle idee generali, e per essi l’avvenire non oltrapassa la data della prossima elezione” (…) occorre incriminare la democrazia” non faceva che anticipare di un secolo lo sdegno d’oggi.
Il Nostro non perde occasione per schernire la democrazia borghese/liberale per i suoi vizi: “Diritto e libertà sono troppo poco salvaguardati dalla democrazia (…) I sofisti più sfrontati alimentano il vizio fondamentale di tutte le democrazie (…) cercare di di trionfare sulle tendenze che spingono le masse operaie verso la repubblica dei produttori”. E ancora, scrivendo a Mario Missiroli, “La democratie travaille à tourner la tete de l’homme du peuple dans le sens d’une soumission aux demi-lettrés”.
“L’autore di ‘Da Proudhon a Lenin’ amò l’Italia come pochissimi stranieri, parteggiò per essa prima e dopo la Grande Guerra, in Italia trovò lettori e seguaci. Credette di assegnarle il primato intellettuale e politico in Europa” (questo scrisse la ‘Nuova Antologia’ nel dicembre 1928, introducendo alcune pagine postume del Nostro). Questa fiducia di Sorel ci appare una premonizione del ruolo di “laboratorio politico” che oggi è giusto attenderci dalla terra che nel passato inventò tante cose, buone e pessime, dall’impero di Roma al papato anticristiano del Rinascimento, dai capitani di ventura al fascismo, al berlusconismo porcino.
L’Italia espresse tanto, soffre tanto sotto la peggiore politica dell’Occidente, è umano che torni ad essere creativa. Oggi la missione storica è creare anche per altri popoli d’Europa una democrazia migliore che ai tempi di Sorel e ai nostri.
Più ancora: quando Sorel ricorda :”Vico credeva che la filosofia greca si fosse formata sull’agorà di Atene, come conseguenza della formazione di leggi saggiamente discusse fra i cittadini”, non si unisce ai molti che cento anni dopo invocano il liberatorio passaggio a formule ateniesi e moderne insieme di democrazia semidiretta?
A.M.C.