Cara Marta, ti confido le cose venutemi in mente leggendo “Insegnaci a contare i nostri giorni” di Carmela Grande. Viviamo un momento nel quale -col Papa in un monastero invece che negli Appartamenti Pontifici così nemici dell’uomo- persino certi marescialli della miscredenza si sgolano a ricordarci che la sete di fede non è finita. Allora non è ozioso chiederci qual è la capitale religiosa d’Italia. Certissimamente non Roma. Lì le nequizie del Quirinale e la politica repubblicana, più i sozzi costumi locali, farebbero di colpo baccanti e cortigiane delle Carmelitane di Bernanos, le quali si incoraggiavano a morire di ghigliottina.
Un tempo non lo si sarebbe detto, ma forse la nostra Sion celeste, il nostro Monte Athos, è Firenze. Non tanto per i grandi spiriti cristiani del passato: dall’eroico frate Gerolamo bruciato sul rogo al santo arcivescovo Antonino Pierozzi, duramente umiliato dal paganesimo del Rinascimento; dalle smanie sdegnose di Giovanni Papini agli accomodanti empiti di Piero Bargellini e di Giorgio La Pira.
Non per gli uomini di fede del passato, dicevo. Invece sì per la sommessa consuetudine con le ombre, gli altari e le mense cristiane di tante persone dei nostri giorni, fiorentine per nascita o più ancora per amore. Mi vieni avanti tu Marta, che venisti dal Piemonte/dalla Liguria, pronipote di un “cugino del Re”, e alla tua Badia divenisti fiorentina zecchina quale saresti piaciuta all’Alighieri della battaglia di Campaldino. E mi vieni avanti Carmela Grande, nata in Sicilia come La Pira. Di te il cardinale Piovanelli ha scritto che 22 anni passati nell’Oltrarno ti hanno permesso “di entrare in un mondo di cristianesimo autentico, capace di amare soprattutto i più poveri”. E’ qui il cristianesimo.
Marta e Carmela, respirando l’aria e persino i miasmi di Firenze avete imparato a vivere secondo i modi interiori di una città che passava per edonista e petulantemente letteraria, e invece è sororale col Nazzareno. Ammiro senza riserve, Marta e Carmela, il coraggio generoso di farvi monache -cioè le migliori tra noi- senza voltare le spalle al mondo, anzi facendovi lievito di quel po’ di mondo che il destino vi ha assegnato. Coraggio generoso di farvi le migliori tra noi: ve lo dice uno che mai dimentica la primogenitura spettante all’uomo maschio, eppure spesso sente di dover imparare da voi idealiste: siete fatte di fango come noi progenie di Adamo, però impastate con più luce dello spirito.
Marta, so quanto coraggio hai messo nei decenni per vivere prove che avrebbero schiacciato molti. Di te Carmela ho appreso con commozione una gesta umilissima e fiera: in un’Italia stremata dalla guerra sentivi di “vivere in mezzo al benessere più opulento”. Felice Carmela che hai sempre confidato nella ‘fedeltà di Dio’. Io, più immediatamente e con meno angoscia, credo nella fedeltà dei molti, moltissimi, che sono misericordiosi, e troveranno misericordia.
Torniamo alla città trasfiguratrice di cuori. Su Carmela lo “spirito di
Firenze” cominciò a dominare nell’alluvione del 1966, e poi col contagio di donne come Fioretta Mazzei. Proprietaria di un palazzo, Fioretta lo trasformò in rifugio per poveri “che nessuno voleva”; e lì dimorava e cucinava i pasti per reiette e straccioni, assieme a Carmela. Quanto a te Marta, so da molti anni quanto ti accese l’arrivo alla Badia Fiorentina della francese Fraternità monastica di Gerusalemme. L’aveva fondata un cappellano alla Sorbona, P.M.Delfieux, che era stato eremita nel deserto. Entraste anche voi due nella Badia, perché “il vero deserto è in città”.
Sì, ma cose così, con un fervore così sorridente, avvengono più in città come Firenze che altrove. Qui anche i mattoni delle case e i selciati delle strade sembrano condividere la fiducia, o l’illusione, che “la vita cristiana è annuncio di cieli nuovi e terre nuove”. La gloria della Firenze dei Medici non sopravvisse alla morte giovane del Magnifico, alla carie spirituale del figlio suo Giovanni, fatto cardinale a 13 anni, poi papa Leone X. I luterani poterono chiamarlo Anticristo.
Voi beate, Marta e Carmela, che dalla Badia -che era stata Casa dei poveri- tenete accesa una lampada della più cristiana tra le grandi città.
Uno di un altro Cenobio