I primi Cento Giorni, poi i primi Trecento Giorni di papa Francesco sono passati, e che è rimasto della sua Rivoluzione? I successi mediatici sono stati innegabili, avvincenti. Quasi non c’è opinionista “rigorosamente laico”, cioè ateo, che non si dica incantato di Bergoglio. Accaniti capifazione anticlericali quali Eugenio Scalfari stanno incassando ricchi dividendi di rispettabilità grazie alle aperture ‘a tutti azimut’ (a 360 gradi)del successore di Ratzinger. Un tempo restavano confinati nel recinto dei mangiapreti. Oggi sembrano intitolati a maneggiare le Chiavi di Pietro. Il che va bene, benissimo. Nessuno sente la nostalgia dei vari ‘Non Possumus’.
Ma l’avvento di Francesco aveva suscitato l’attesa di svolte ben più epocali delle cose che al momento si profilano. Nessuno riuscirebbe a sminuire il valore dei propositi annunciati dal nuovo corso. Bergoglio ha dismesso più che un triregno. Ha accreditato il concetto di un capo religioso che si fa forte della sua debolezza, anzi impotenza. Ha rinunciato al fasto e all’aureola. Ha delineato nuovi stili e migliori accenti nell’azione terrena della Chiesa. Altre declinazioni feconde potranno seguire. Tuttavia gli annunci operativi sono stati pochi e non fulminanti.
La predicazione del papa resta strutturalmente tradizionale, inefficace quanto gli appelli che si ripetono ad ogni Angelus di ogni pontefice. Alcune enunciazioni sono struggenti, ma in una storia bimillenaria esse non sono mai veramente mancate. L’eloquio è senza dubbio aggiornato. Un Leone X redivivo che volesse reiterare oggi la condanna di Martin Lutero userebbe concetti e accuse di mezzo millennio dopo, non la bolla Exsurge Domine oppure la Decet romanum pontificem ; dunque il suo lessico somiglierebbe a quello di Bergoglio.
Difatti non pochi esegeti hanno già preso a sottolineare la fondamentale continuità dell’apostolato. Mai dire mai, naturalmente. Poiché nulla è impossibile a Dio, nemmeno le rotture più laceranti, nessuno può sostenere che queste ultime non verranno mai. E’ un fatto che i primi nove mesi non ne hanno portata alcuna. Un solo esempio. La Chiesa sarà certissimamente costretta a rinnegare se stessa in materia di birth control. Non potrà non capovolgere il suo storico insegnamento, essendo falso che sul pianeta ci siano pane e spazio per tutti i nascituri. E’ accertato che la Provvidenza non può beneficare tutti. La stessa fondamentale categoria dell’Amore, incessantemente riproposta anche da questo papa, dovrà ricevere una formulazione talmente nuova da diventare un concetto tutto diverso. Ecco allora delle ridefinizioni che essendo tassative potevano essere assunte invece che procrastinate.
Da più parti si sostiene che al centro della missione di Francesco c’è il rilancio della collegialità episcopale. Dio non lo voglia. Più collegialità sarebbe più immobilismo. Il senso della venuta di questo pontefice è tutto nell’azione dirompente che un grande capo voglia e sappia compiere. La collegialità eliderebbe le spinte e la darebbe vinta al consenso. Nei destini del Cristianesimo c’è più lotta, non più armonizzazione. Il dover essere, l’esigenza suprema è una guida rigeneratrice, irresistibile, non la convergenza.
Insomma la Chiesa non ha bisogno di un altro papa come gli altri. Ha bisogno di un grande maestro di coraggio, di un riformatore globale. Di papi omogenei tra loro ne ha avuti a sufficienza, e il bilancio è negativo. Anche per fare solo il pacifico “parroco del mondo” Francesco dovrà rimodellare e ricreare, non gestire in un continuum coi millenni.
Non è detto che la sfida più decisiva debba avvenire sul terreno teologico o comunque religioso, Persino una comunità di fede più convinta può attendere. Non potrà attendere l’impresa metareligiosa di strappare la cristianità alle anchilosi, alle degenerazioni spirituali, alle altre patologie dei troppi secoli. Un esempio doloroso: nei diecimila anni della storia che conosciamo ci siamo deformati a considerare il denaro e il benessere materiale essenziali come l’aria che respiriamo. Il denaro è il più possente degli Dei, padre di troppi numi. Tra essi è il Lavoro, ferreo tiranno dei nostri destini. Il mondo attende il Liberatore che lo riscatti dalla servitù del lavoro e lo persuada alle inevitabili rinunce.
Un papa con le caratteristiche di Francesco risulterà il portatore del pensiero e del carisma più forti in assoluto, soprattutto in quanto sono cadute o morte tutte le altre ideologie e leadership. La storia inevitabilmente lo sfiderà a farsi il Mosé della liberazione dalla malaciviltà del denaro e del consumo. Dovrà inventarsi rigeneratore delle idee e dei costumi. Dovrà migliorare la storia, almeno un po’.
Forse Jorge Maria Bergoglio ha mente abbastanza alta per ispirare, ma non la dura volontà di guidare il mondo. O forse il fuoco nelle viscere del suo vulcano non è abbastanza divoratore e si spegne.
l’Ussita