DISINCANTO DEL PATRIOTTISMO SPAGNOLO

Dopo esserci stata padrona per un po’ di secoli (a Milano quasi tre, a Napoli e a Cagliari quasi quattro, a Palermo oltre cinque), morto il Caudillo la Spagna ritrovatasi democratica si cercò un modello politico-ideale aggiornato: e scelse lo Stivale. Noi avevamo cambiato padrone già nel 1945, trovando la felicità trent’anni prima che a sud dei Pirenei. Nell’ottobre 1982 gli spagnoli completano il corso d’apprendimento: danno il potere al ‘socialista’ Felipe Gonzales ed entrano anch’essi nell’età craxiana: soldi a debito per tutti, industrializzazione e grandi opere al galoppo, ottimismo della volontà, tangenti come via maestra. Oggi le cronache del malaffare democratico sono, da Pamplona a Valencia alle Canarie, indistinguibili dalle nostre (v. in Internauta “La Spagna dall’orgoglio del Cid all’Infanta indagata e alle tangenti”; “Hispania felix anche senza crescita (ma politici ladri come i nostri”).

Allora la Spagna fattasi da magistra alunna non ha molto da insegnarci. Resta tuttavia una pietra di paragone. Per questo vi sunteggiamo qui le riflessioni su “la hora del desencanto” di tre reputati storici accademici, Fernando Garcia de Cortàzar, Josep Fontana allievo di Jaume Vicens Vives e Juan Pablo Fusi.  I motivi più immediati per ragionare di disincanto sono, com’è ovvio, la crisi economica e il separatismo catalano e basco. “E’ il nostro inverno morale” constata Garcia de Cortàzar, che è un cattedratico e un gesuita. “Si mette in discussione persino il riuscito passaggio dal franchismo alla democrazia. E’ evidente l’insuccesso degli  sforzi per difenderci dalle minacce dei nazionalismi antispagnoli, sorti nel secolo XIX con connotazioni romantiche e ultraconservatrici. Mi colpisce una frase, ‘rispetto delle autonomie regionali’ che sentiamo continuamente in questi anni di crisi brutale. Significa che quando avevamo soldi potevamo permetterci impunemente di sperperare, di sovrapporre le giurisdizioni ? Oggi la Spagna nazione  è contestata come non mai, e non è solo colpa dei particolarismi periferici. La sinistra per esempio, un tempo difendeva l’unità, oggi  si apre ai suoi nemici: curiosamente non in nome della lotta di classe o del paradiso proletario, bensì per assecondare gli orizzonti egoistici  delle oligarchie regionali. La Spagna unita è un’eredità che abbiamo ricevuto ed é un progetto per il futuro. Il mondo non ci accetterà mai se non ci impegneremo a credere in noi stessi. La nostra tolleranza è stata presa come mancanza di principi, la nostra prudenza come impotenza”.

Non era questo che speravamo dalla democrazia, ammette Josep Fontana, un professore emerito che fu militante comunista durante il franchismo; ha soprattutto studiato la finanza pubblica nell’Ottocento. Cita quel verso di Gil de  Biedma che chiama triste la storia di Spagna  ‘porque siempre termina mal’. Per lui “la crisis del proyecto nacional espagnol està directamente relacionado con la crisis del Estado”. Una indipendenza della Catalogna non è inconcepibile “si es realizable sin dagno para nadie”. Fontana sottolinea gli aspetti negativi di certi sviluppi ottocenteschi: “Le grandi fortune riuscirono a sfuggire agli obblighi fiscali loro spettanti: allora erano agrari, oggi sono finanzieri. Una delle conseguenze fu l’estrema debolezza della scuola pubblica. Negli altri paesi europei la scuola fu un fattore decisivo di amalgamazione nazionale. In Spagna non ha contribuito abbastanza alla crescita dei sentimenti unitari”.

Anche Juan Pablo Fusi addita la vulnerabilità del Paese di fronte alla sfida dei separatisti. Peraltro la decentralizzazione è stata un impegno intenso e finora efficace per valorizzare le risorse regionali: “No recuerdo en ningùn otro pais un esfuerzo como el registrado en Espagna. No es facil ir mas allà”. Non deve sorprendere, aggiunge Fusi. che la ricca Catalogna sia tentata di voltare le spalle alla patria: lo fanno anche gli indipendentisti del Quebec, i fiamminghi belgi, in Gran Bretagna gli irlandesi ed ora gli scozzesi. La crisi generale -non solo economica, anche istituzionale e politica- fa lievitare lo scissionismo: “Los continuos escandalos de corrupcion”, l’assenza di leadership, la disoccupazione accentuano le difficoltà dei paesi. Da noi risuona ancor oggi l’amara constatazione di Antonio Cànovas del Castillo, il governante che rimettendo sul trono i Borboni riuscì a chiudere le guerre carliste e a stabilizzare l’assetto politico: “Es espagnol el que no puede ser otra cosa”.

Enric Gonzàles, che ha raccolto le non ottimistiche riflessioni dei tre storici per conto di ‘El Mundo’ – quotidiano che da venticinque anni dà voce al capitalismo liberale moderno (una specie di ‘Repubblica’ di destra, risposta al progressismo di ‘El Pais’) richiama un pensiero di José Ortega y Gasset: “La convivenza dei nazionalismi è difficile, non impossibile”.

A.M.C.