Phony perché le regole imposte al commissario straordinario Cottarelli gli permetteranno di progettare -non di operare, of course- solo tagli irrisori. Alcune di tali regole, veti e proibizioni non verranno nemmeno impartite, tanto saranno for granted. I costi della politica (=del saccheggio operato dai politici) non si toccano; non quelli delle Istituzioni spregevolmente segnate dal retaggio ignobile, dalla prosopopea, dal cinismo di togliere il pane dalla bocca dei poveri, tipo il Quirinale e la Corte costituzionale; non quelli del prestigio da operetta, tipo la diplomazia e le Forze armate. Si toccano la Sanità e il Welfare: qui Cottarelli dovrà individuare interventi al tempo stesso vistosi e innocui nei confronti delle lobbies e delle corporazioni.
Ci sono poi i milioni – tre? sei?- di persone che campano direttamente sulle tasse; più le altre senza numero che farebbero la fame immediata se la mano pubblica cessasse di elargire come si faceva quando ci si indebitava parossisticamente. Qui si invoca quale regina delle regole “niente tagli lineari”. Chissà perché niente: qualche volta illogici, i tagli lineari sono quasi sempre indispensabili, se non si vuole che decine di migliaia di capitoli di spesa vengano dichiarati sacri.
Andiamo avanti coi principali veti e divieti all’infelice commissario straordinario. Nessun pregiudizio ai diritti acquisiti, che sono palla al piede dell’equità e dei conati redistributivi. Sia impercettibile la riduzione netta degli oneri di personale: gli esuberi, se non assorbiti da altre amministrazioni, vanno incentivati e indennizzati. Nemmeno la semplice mobilità geografica dei dipendenti sarà possibile senza addossare alla collettività i costi e i disagi del trasloco, di trovar casa e seconda casa, di cambiar scuola e palestra ai figli, di riorganizzare l’esistenza. Il settore pubblico è possentemente unionized : Cottarelli non si faccia venire strane idee.
La verità è che la spending review può farla solo un potere rivoluzionario, robespierresco. Un potere che possa sospendere o abrogare ‘tutto’, cominciando da una parte dei diritti sanciti dal Codice civile e da quelli scritti a vanvera nella Carta costituzionale. Una revisione effettiva della spesa implica il divieto di scioperare e di ‘lottare’ in altri modi. Implica la cancellazione dei ricorsi amministrativi e dei contenziosi giudiziari. Impone la sparizione pura e semplice dei diritti acquisiti (acquisiti a carico degli altri). Implica persino la fine delle elezioni, perchè le urne non si vendichino dei politici coinvolti nella review.
Spending review vuol dire assegnare ai licenziati, doverosi ma modesti sussidi di sopravvivenza (=alimentari) scollegati da ogni livello retributivo: p.es. settecento, non settemila o ventisettemila al mese. Spending review vuol dire amputare tutti gli stipendi, le liquidazioni, le pensioni al di sopra di quelli più bassi, infierendo sui livelli medio-alti e superiori. Se al dirigente licenziato si corrispondesse soltanto un sussidio di sopravvivenza, al collega mantenuto in servizio si toglierebbe metà della retribuzione e di tutto il resto.
Molti lascerebbero il posto pubblico, ma non sarebbe un dramma: i sostituti giovani imparerebbero in fretta il lavoro burocratico. Solo le professionalità imprescindibili sfuggirebbero alla mannaia: chirurgo, ingegnere dei ponti, e simili. Di tutti gli ambasciatori i generali i boiardi i ciambellani i maggiordomi istituzionali lo Stivale farebbe vantaggiosamente a meno.
Quanto sopra presume la rottura integrale della legalità. Dunque non ci sarà. Dunque niente spending review. Non gli ipotizzati risparmi netti per 30 miliardi in tre anni (del resto irrisori su una spesa triennale di almeno 2500 miliardi). Al meglio, 3 miliardi. Quanto alle vaste dismissioni di beni pubblici e alla riduzione del debito, Cottarelli non ci metta il becco.
A.M.C.