SCENARI MESSIANICI LA SANTA UTOPIA DELLA RIGENERAZIONE CULTURALE

Entrati nel Terzo Millennio e tramortiti dal falso trionfo del Mercato, più che mai abbiamo bisogno di una rivoluzione culturale. Ma, fatti accorti della colossale truffa del tardo-maoismo, la sola rivoluzione che possiamo concepire è rigenerarci in spirito. La rivoluzione all’antica, quella delle bandiere rosse e delle stragi, è il nulla. Invece il ‘Regeneracionismo’, movimento intellettuale di fine Ottocento, fu la pagina più alta della Spagna moderna.

La rigenerazione è una prospettiva d’utopia, proprio perché grandiosamente profetica. Per noi italiani, come per ogni altra società di industrializzazione matura, rigenerarci è ammutinarci contro i nostri idoli e contro noi stessi. E’ irrompere fuori della cultura del benessere, della proprietà individuale, del capitalismo, del lavoro al di sopra di tutto, delle conquiste sindacali, della ripresa della crescita e dei consumi, dell’edonismo.

Una prospettiva utopica dunque: ma chiamarla messianica è meglio. Il Paese d’Utopia non nacque mai. Invece un Messia deviatore della storia potrebbe sorgere. Sorse Cristo; sorse Maometto che costruì l’Islam, muovendo da un grumo di tribù cammelliere e analfabete.

Restringiamoci all’Italia. In apparenza basterà il poco e il vano, basterà una rianimazione del Pil, perché passi la Grande Paura e quasi tutto torni come prima. Le masse, i grandi numeri, si contenteranno.

Tuttavia anche lo scenario opposto è verosimile. Se le chiusure di imprese e i licenziamenti aumenteranno -qualcuno ha previsto tra pochi anni l’uscita dell’Italia dai 20 paesi più industrializzati- l’esplosione sociale non è obbligatoria. Il colpo di stato sì. Esso è una via maestra del dinamismo. Il processo democratico-parlamentare, dopo un paio di secoli di conati, non è più in grado di produrre alcun cambiamento e nemmeno di sopravvivere.

Uno Stivale terrorizzato dal declino applaudirà quasi unanime all’azione di un Demagogo di razza, capace di trascinare, non solo di praticare le astuzie animali che producono voti. Ma altrettanto e più efficace, sul piano immediato, sarà il golpe militare alla Miguel Primo de Rivera. L’avvento (1923) della sua Dittatura fu salutato festosamente da quasi tutte le fazioni di una Spagna costernata dai fallimenti del costituzionalismo liberale e dall’accelerazione del crollo nazionale. Con gli strumenti autoritari della disciplina militare Primo de Rivera poté attuare nel primo quinquennio di potere opere molto importanti: avviò la modernizzazione, irrobustì le attività economiche e le opere pubbliche, azzerò il monopolio dei politici liberali cioè dei ceti abbienti, avviò un rudimentale Welfare State, primo della storia iberica; costruì case e ambulatori per i poveri. In breve si fece amico il popolo, esasperò le  classi alte cui apparteneva da generale marchese e che alla fine lo deposero.

Primo de Rivera non era un grand’uomo, nemmeno un grande militare. Semplicemente ebbe il talento di organizzare la congiura giusta contro le istituzioni legali, di vincere in poche ore senza usare le armi. Ebbe anche la tempra di rischiare: per i capi dei ‘pronunciamientos’ che fallivano usava spesso  la fucilazione. In più di altri il generale marchese aveva mente aperta verso il futuro e disprezzava l’egoismo degli altri Grandi di Spagna che affamavano i braccianti dei loro latifondi.

I governanti repubblicani che gli succedettero, sinistristi, produssero solo lacerazioni, dunque la Guerra Civile.  Dopo la quale il potere  fu intero di  un generale tutt’altro che generoso come Primo ( però a modo suo Francisco Franco aprì le porte al progresso  economico e  alla modernità). In qualche misura i governanti d’oggi, qualunque il loro partito, profittano nel gestire la Spagna dei correttivi di sistema introdotti novant’anni fa da un dittatore militare, erede del dispotismo illuminato di Carlo III e di altri Borboni.

L’ipotetico gestore militare di una parentesi del nostro avvenire potrà tradire la sua missione governando nell’interesse del capitalismo e del classismo tradizionale, come fece Pinochet (in un Cile, peraltro, oggi più prospero e più ricco di futuro). Oppure al contrario facendo come Ataturk, che seppe rompere quasi tutti gli stanchi equilibri della Turchia ottomana. O facendo come Nasser, che gettò le basi di un “socialismo arabo”, poi degenerato in oligarchia conservatrice. Oppure infine imitando altri condottieri del passato che, da Giulio Cesare in poi, deviarono la storia disponendo della forza armata contro l’inerte immobilismo delle istituzioni, contro la manomorta della legalità.

Ecco uno scenario messianico per lo Stivale. Un militare emulo di Ataturk, di Nasser, degli ufficiali giustizialisti della ‘rivoluzione dei garofani’ in Portogallo, si impadronisce del potere -con facilità estrema e senza sparare, date le circostanze di crisi grave e di odio per i politici nelle quali  agisce- e demolisce tutto ciò che va abbattuto. Destituisce gli eletti, i cooptati e ogni altro gerarca, cancella la Costituzione partitocratica, chiude e vende il Quirinale, taglia di un quarto i dipendenti, oblitera le istituzioni e i meccanismi di regime, avvia l’unico congegno politico alternativo al morente parlamentarismo: la democrazia diretta selettiva. Un assetto in cui la deliberazione e il governo appartengano per turni brevi a pochi cittadini sovrani, selezionati dal sorteggio e non dalle urne. E’ stato calcolato che oggi oltre un milione di italiani vivono solo della politica e la gestiscono da soli a loro profitto. Tanto vale far avvicendare nel potere, per scaglioni, un milione di supercittadini individuati e controllati dal computer.

Scacciati i mercanti dal Tempio, il Giustiziere si allea con una personalità spirituale di statura eccezionalmente alta per assalire insieme il capitalismo/sviluppismo/consumismo/edonismo. Una specie di Bergoglio (il quale però non rinunci come ora al suo vasto potenziale; il quale compia atti concreti invece che solo esclamare e solo gesticolare), una specie di Bergoglio  riesce a indebolire alquanto le millenarie strutture del materialismo. La parte più coltivata della società si convince che una genuina svolta semisocialista e avversa all’economicismo, o se si preferisce un rafforzamento spinto del comunitarismo solidale, non è una vittoria delle sinistre insincere e inconcludenti, ma è il progresso

Così l’alleanza tra il Distruttore della partitocrazia ladra e una Guida morale sovverte i mortiferi assetti attuali. I redditi più alti vengono decapitati per dare pane ai senza lavoro. La proprietà risulta indebolita. I diritti acquisiti vengono nanizzati. Le masse si persuadono che nell’Occidente lo sviluppo ininterrotto è finito; che occorre accettare la decrescita e viverla in termini positivi; che quasi tutto il non essenziale va respinto; che si può vivere di poco come i più facevano fino a un paio di generazioni fa.

Compiuta la bonifica, attuato il compito di braccio secolare della Guida delle coscienze, il Giustiziere lascia il potere, spontaneamente come i dictatores della repubblica romana antica, oppure congedato dai conduttori della Democrazia Diretta  (il Duce fu congedato da un pugno di alti gerarchi, più un re). Guarito dalle infezioni più gravi lo Stivale prende a reggersi senza classe politica, scommettendo sul senso di responsabilità e sull’intelligenza dei migliori, nonché sulla consultazione permanente del popolo attraverso la telematica.

Tutto ciò è utopia, certo. Ma senza un’attesa messianica il futuro è desolato. Meglio il sisma della Rigenerazione, aspra come una rivoluzione del passato.

l’Ussita