UN INNO AI PARLAMENTI SPERANDO CHE RESTINO INUTILI

Fuorviante? Ludico? Sardonico? Il titolo d’un editoriale del ‘Corriere’: “La rivincita del Parlamento”. Chissà. Uno che abbia tralasciato di leggere l’occhiello ‘Londra, Washington’ ha potuto temere si trattasse del nostro Parlamento. Un abbaglio naturalmente, un terrore di sventure. Il Parlamento romano, alla pari dei sottoparlamenti regionali  e locali, non  fruirà di alcuna rivincita.

‘Un sinedrio di nominati’ è la formula che cerca di abbellirlo. In realtà è una sentina, il ricettacolo di ogni bruttura. Oppure è una stia di capponi e galline (con buona pace delle Cinque Stelle che vorrebbero riscattarlo). Che altro pensare di centinaia di parlamentari, frequentemente signorine vestite all’odalisca, che si considerano e comportano come volatili da cortile appartenenti a un lubrico tycoon di Arcore? Che altro pensare di volatili ancora più numerosi -grazie a un premio di maggioranza smodato- di piumaggio rossastro invece che azzurro, che non furono nemmeno capaci di mettere al Quirinale un capo-pollo meno all’antica? Polli invece bravissimi a ruspare imperterriti nel denaro pubblico quali che siano le bestemmie e gli urlacci dei contribuenti.

Torniamo alla rivincita di Westminster e di Capitol Hill. Si congratula l’editoriale vedi sopra: “In Gran Bretagna e negli Stati Uniti i governi hanno dovuto riconsegnare ai due più antichi parlamenti del mondo il più sovrano dei poteri, quello sulla pace e sulla guerra”. Sarà così, diciamo noi, se davvero i due consessi spegneranno i motori dei cacciabombardieri, se smonteranno le testate dei missili, se ritireranno la task force navale. Peccato che una storia plurisecolare faccia poco verosimile che gli Esecutivi di Londra e Washington obbediscano ai Legislativi. Le guerre che conosciamo furono sempre decise da sovrani o da ministri, e i parlamenti si conformarono.

E’ vero, i tempi stanno cambiando. Però -attesta lo studioso britannico Christopher J.H.Duggan- appena ieri, anno 2003, “i cittadini britannici erano nettamente contrari a un intervento militare nell’Iraq. Nel febbraio un milione di persone si riversarono nelle strade di Londra per chiedere ai governanti di non partecipare alla guerra. Invece Blair ottenne senza difficoltà il voto dei Comuni”.

Ciò smentisce Antonio Polito quando, sillabando riverente un celebre passo di Lincoln citato da Obama, scandisce: “Democrazia vuol dire governo del popolo, eletto dal popolo”. Un popolo, infierisce Polito, “ascoltato attraverso i suoi rappresentanti”. Noi italiani sappiamo ormai alla perfezione che gli eletti non ci rappresentano affatto. Se ci rappresentassero dovremmo buttarci nelle acque dell’Artico come fanno i lemmings.

Il Nostro ci accusa, noi italiani, di avere “degradato oltre misura il Parlamento, trasformandolo in un sinedrio di  nominati”. Battiamoci il petto di vergogna, noi degradatori oltre misura! Però l’ex-legislatore  si decida. Nei primi tre paragrafi dell’editoriale si felicita della ‘storica rivincita’ delle due antichissime assemblee. Nei tre paragrafi successivi lamenta: “Questa novità apre enormi problemi: il primo è l’indebolimento del potere esecutivo. Che ne sarebbe della forza e della credibilità degli USA, la “nazione indispensabile”? Una potenza smette d’essere tale se subordina gli impegni internazionali alle dinamiche del conflitto interno”. Cioè: la volontà dei cittadini, condomini della nazione, deve contare zero.

In più, ammonisce il bell’Antonio, “resta da vedere quanto il controllo democratico dei parlamenti sia compatibile con gli obblighi internazionali. Non è un caso se la crisi finanziaria, prima in America poi in Europa, sia stata gestita dai governi, tenendo le decisioni il più possibile lontane dai parlamenti. La stessa Unione Europea potrebbe non sopravvivere a una revanche  della democrazia nazionale”.

Insomma, la revanche  conclamata nel titolo non solo non piace affatto a noi, ma disgusta Polito: “Sarà bene non dimenticare che nella forza della democrazia risiedono anche le sue debolezze. Una democrazia indecisa e imbelle (=contraria a fare guerreN.d.R.) smette presto di essere una democrazia”. Allora (siamo sempre noi)  essa ha smesso d’essere “il popolo ascoltato attraverso i suoi rappresentanti”?

Risposta: se mai lo è stata, non lo è più. Abbiamo finalmente assodato che gli eletti non rappresentano nessuno. Apertosi il Millennio  di Internet e di chissà quante altre rivoluzioni, i popoli sono perfettamente in grado di decidere direttamente le cose grosse. Cominciando dal rifiuto della guerra e dalla cancellazione degli eletti.

I popoli, non i parlamenti né altre capponaie.

Porfirio