Piero Ostellino, già direttore del Corriere della Sera, ha così giustificato la propria deplorazione nei confronti di papa Bergoglio che si faceva fotografare nel salire sull’aereo (per il Brasile) con una valigetta in mano: “Egli è il rappresentante di Dio sulla terra”. L’implicazione, pedestre: la valigetta doveva portarla un valletto, non un sovrano. Peraltro, su quello stesso aereo, volo di ritorno, il papa ha articolato l’interrogativo teologico più forte su venti secoli di storia della Chiesa: “Chi sono io per giudicare?”
Colui che formula questo dubbio retorico, di fatto si dichiara disponibile per le avventure più audaci, per le revisioni più laceranti. “Chi sono io” è uno statement, un’asserzione universale. Si rassegni Ostellino: non solo il Pontifex maximus potrà squarciare altri veli che ancora coprono oggetti e concetti sacri; ma potrà avviare la revisione globale delle certezze, cattoliche e non. Forse, dicasi forse, Bergoglio sarà il Papa Rivoluzionario che ‘Internauta’ invocava nel suo primo numero. Se passerà dai gesti simbolici -che lo hanno proiettato come il personaggio pubblico più importante del mondo- agli atti concreti, egli risulterà non solo guida e maestro di credenti e miscredenti di ogni convinzione, ma anche il maggiore capo politico del pianeta. Al suo confronto sfigureranno tutti gli Obama, i Putin e gli altri nanocondottieri di popoli: sempre che egli muova dagli atteggiamenti e dai contegni, finora prevalentemente felici, persino magistrali, alle opere vere e telluriche.
Muovere dagli additamenti e dalle esortazioni alla concreta dismissione dei Palazzi apostolici, a beneficio del mondo povero. Dalle affermazioni di discontinuità al ripudio fisico di Roma quale sede e quale retaggio di nequizia. Dalla predilezione sua personale per il convento di Santa Marta al trasferimento della Curia intera, a cardinali resi straccioni, in uno dei molti monasteri rimasti senza monaci. Dagli elogi della frugalità all’aspra riduzione all’essenziale degli apparati: anche di quelli liturgici. Dalle prese di posizione audaci però innocue, alla specifica sconfessione degli aspetti deteriori della tradizione clericale e romana. Dalle mere invocazioni al bene all’estromissione dalla patria cristiana di quei ricchi il cui esercizio della carità si esprime nel donare ai mendicanti le briciole del banchetto. Dalla proclamazione di nuovi santi nel nome di miracoli dubbi alla valorizzazione degli umili eroismi del volontariato.
Se compirà queste ed altre opere di rivoluzione fattiva, Francesco si troverà investito di una missione senza precedenti nella storia. La missione di creare valori e ideali nuovi, di operare la sintesi tra sacerdozio e civiltà, al contempo prendendo la guida di molti popoli al posto di statisti, politici e ideologi precipitati al nadir del discredito. Anche gli atei sono consapevoli che, spentesi nel disonore tutte le dottrine della modernità, cominciando dal comunismo e dal capitalismo/consumismo, il cristianesimo e altre grandi religioni sono rimaste sole a suscitare slanci e speranze. La laicità non produce aneliti. In ogni caso la laicità non possiede un condottiero conosciuto in ogni angolo della terra.
“Mi agonìa, mi lucha por el cristianismo, la agonìa del cristianismo en mì, su muerte y su resurrécciòn en cada momento de mi vita intima”, così Miguel de Unamuno definiva la vicenda sua e del suo tempo. Dopo secoli di nichilismo l’Occidente ha bisogno di darsi una civiltà e un’etica migliori. Ha bisogno di reinventarsi, rigenerandosi. Un papa rivoluzionario quale Bergoglio potrebbe diventare se stordisse il mondo, sarebbe sia conduttore delle coscienze, sia capo politico e guida per l’azione: al di sopra di ogni altro uomo. Come Lutero, più ancora come Maometto, il quale creò per il futuro una fede, una civiltà e un impero.
l’Ussita