ACCETTARE LA GUIDA DELLA GERMANIA PER LE VIRTU’ ANTICHE NON PER IL PIL

Sono passate le elezioni tedesche e i commentatori di fascia alta hanno evitato di unirsi agli autodidatti, che la responsabilità dei nostri guai la assegnano all’avarizia della Merkel. Hanno fatto bene, i commentatori che conoscono la storia. Tuttavia nessuno dei più noti tra loro ha portato fino in fondo, come coerenza vorrebbe, la riflessione sui portati attuali della grandezza germanica.

Hanno ragione a prenderla da lontano: dal trionfo di Arminio sulle legioni di Varo nella foresta di Teutoburgo; dall’ammirazione di Tacito per i costumi dei Germani e per il loro comunismo primitivo; da Lutero e dai Discorsi alla nazione di Johann Gottlieb Fichte alla geniale, inattaccabile razionalità della Mitbestimmung, al rifiuto di Berlino di allinearsi ai più recenti propositi tardo-coloniali di Obama & Hollande. Nessun osservatore colto omette di ricordare che il Welfare moderno lo fondò il duro junker Otto von Bismarck (il quale, aggiungiamo noi, nel 1923 trovò un seguace in Miguel Primo de Rivera, dittatore militare a Madrid: anch’egli avviò quel Welfare State che gli agiati notabili liberali del liberalismo spagnolo avevano totalmente ignorato). Nessuno che scriva sul Reich dei nostri giorni può sorvolare sul crimine assoluto della Germania, i campi di sterminio, crimine di fronte al quale siamo ancora senza parole.

Venendo alle questioni dell’oggi e del domani, occorre dire chiaro che, azzerati i residui della nostra settantennale deferenza verso il dominatore statunitense, va accettata, puramente e semplicemente, la leadership europea della Bundesrepublik. Per come è  il mondo, per come sono i Germani d’oggi, per come siamo noi, non possiamo che fare come loro. La fierezza nazionalistica, con almeno diciassette secoli di decadenza rispetto al tempo della grandezza; col peggiore sistema politico dell’Occidente; con un debito pubblico che non potremo mai estinguere, la fierezza nazionale non ci spetta. Quanti se ne ergono ad assertori fanno ridere: per l’indipendenza non abbiamo né i mezzi né la legittimità. Nei secoli del servaggio abbiamo solo esercitato la libertà di cambiare padrone o di tradire alleato: ultimi, Salandra e Badoglio.

A parte che resta valida la corrosiva definizione di “nazionale” fatta nel 1862 da Johann Nestroy commediografo viennese: “Nazionale è il fatto che nessuno capisca una parola della lingua che parli”. Dicono che i primi insegnanti e burocrati scesi dal Nord in Sicilia dopo l’Unità furono presi per inglesi.

Il tempo di altri maestri o modelli è passato per sempre. La Francia, ha scritto qualcuno, “è troppo leggera”: lo confermano  il bellicismo e il tardosciovinismo di Hollande: il quale fu salutato come campione di progressismo ed emulo delle glorie ‘socialiste’ di Mitterrand, ma per la Siria è sembrato fare all’incirca come il socialista Guy Mollet in Algeria. La Gran Bretagna fu ed è un pinnacolo di egoismo e sgradevolezza. Tokyo, Pechino e Seul possono insegnarci molte cose, Londra e New York quasi nessuna, Berlino o Monaco, d’ora in poi, quasi tutte.

Claudio Magris germanista ha opportunamente scritto delle “tante insipienze politiche del passato tedesco”. In effetti, l’ultima vittoria dei tedeschi nella storia moderna fu la Riforma. Seguì la stagnazione dei secoli XVII e XVIII: mentre gli inglesi si impadronivano del mondo, per poi dargli la lingua, i tedeschi accettavano la parcellizzazione e il localismo di centinaia di stati principeschi. Occorse l’umiliazione degli occupatori napoleonici a Berlino perché i tedeschi si riscattassero con la guerra di liberazione, con le glorie del romanticismo, con le riforme degli Stein, degli Humboldt, Scharnhorst  e Geisenau, infine coi primati in quasi tutti i saperi. L’insipienza politica c’è stata ed è durata secoli, dalla fine del Primo Reich -il Sacro romano impero della nazione germanica- al cataclisma del 1945.

La Germania d’oggi, coi successi e con la saggezza con cui si regge, raccoglie i dividendi di positività non politiche del passato che sono ingenti al punto di cancellare le mostruose aberrazioni di Hitler e dei suoi carnefici (la Russia, madre di tutti noi, non ha ancora cancellato le aberrazioni di Stalin). Nonostante tutto il rigoglio del suo capitalismo e della sua modernità, la Germania del Duemila gode i frutti delle virtù passate. Della probità degli antichi clan contadini e guerrieri come di quella della burocrazia prussiana o renana. Della ribellione di Martino agostiniano contro la vendita delle indulgenze; delle conquiste spirituali di Eisenach, Koenigsberg e Heidelberg; della splendida rigenerazione ottocentesca.

Oggi la Germania è opulenta ma è stata frugale, ossia virtuosa, nei millenni. Con tutte le sue colpe -ma anche il popolo di Dio, nel Vecchio Testamento, sterminava i nemici, bambini compresi- essa resta una società etica. Dobbiamo accettarne la guida perché siamo meno etici.

l’Ussita