Un po’ per l’attrazione del macabro, molto più per concederci dell’ilarità cioè del buon sangue, abbiamo riaperto un libro del ’68: René Viénet, Enragés et situationnistes dans le mouvement des occupations, ed. Gallimard. Sapendo come andarono a finire il Maggio francese e tutti indistintamente i conati gauchistes (=sinistristi all’occidentale) del pianeta, per umana compassione non infieriamo sugli sbaragliati. Riportiamo solo uno, molto dimesso, dei loro gridi di battaglia e di vittoria nei giorni allucinati tra l’11 e il 30 maggio 1968: “Dans les Bourses d’Europe les capitalistes tremblent, les gérontocrates tournent les mots pour expliquer l’action des masses”.
Credevano di avere attivato il detonatore della Rivoluzione mondiale. Credevano di avere eccitato i proletari a sollevarsi, laddove i proletari aspiravano alla seconda casa e alla terza voiture del nucleo familiare. In ogni caso si deliziavano dei parossismi vandalici e delle centinaia di fatti microinsurrezionali che umiliavano l’incarnazione dell’autorità, il monarca Charles de Gaulle. Trascriviamo solo alcune meste riflessioni di quando le fortezze che avevano eroicamente espugnato -l’Odeon, la Sorbona, le Beaux Arts, Nanterre- caddero. Falliti presto i grandi scioperi politici delle fabbriche – Renault, Rhodiaceta, Citroen riaprirono il 17- fu giocoforza ammettere la disfatta. Ma si facevano coraggio con le chimere:
“La France reste dans la chaine volcanique de la nouvelle géographie des révolutions. L’éruption révolutionnaire n’est pas venue d’une crise économique, mais elle a tout au contraire contribué à créer une situation de crise dans l’économie. Ce qui a été attaqué de front en Mai, c’est l’économie capitaliste développée fonctionnant bien; mais cette économie, une fois perturbée par les forces négatives de son dépassement historique, doit fonctionner moins bien: elle en devient d’autant plus odieuse, et renforce ainsi ‘le mauvais coté”, la lutte révolutionnaire qui la transforme. La théorie radicale a etée confirmée. Elle s’est immensément renforcée. Ici a eté allumé un brasier qui ne s’éteindra pas”.
Direte: bella forza sghignazzare 45 anni dopo. Prescindendo dal fatto che chi scrive sghignazzò in tempo reale (lo attestano quell’anno vari numeri di ‘Relazioni Internazionali’, il settimanale del milanese Istituto per gli studi di politica internazionale, nonchè numerosi scrittarelli in altre sedi), è reale l’imperativo di capire: la lezione della disfatta del ’68 è stata straordinariamente rafforzata, non indebolita, dal quasi mezzo secolo che è trascorso. La lezione, anzi la ‘legge’, impartita dalle cose è che, più le sinistre moderate credono d’essersi aperte prospettive (per avere respinto le frange lunatiche) e più l’assetto capitalista/consumista si rafforza. Perché si indebolisca occorre che tutte le sinistre, anche quelle ragionevoli, spariscano.
Perché? Perché, avendo ripudiato la rivoluzione, le ragionevoli credono di potersi permettere il fatuo progressismo ‘dei diritti’. E’ innocuo ma momentaneamente nocivo. Pur depotenziatosi da Zapatero a Rodotà e alla Boldrini, pur trascolorato dalla militanza alla petulanza, persino questo sinistrismo venuto da Lilliput e ridotto al ridicolo non cessa di antagonizzare i grandi numeri: la gente. Per dirne una, i fiori d’arancio homo.
Risultato, l’ordine costituito si rinsalda. I ricchi di oggi sono molto più ricchi dei loro padri e nonni. La loro condizione è più confortevole. E si fa sempre più impossibile -grazie in particolare alla Più Bella delle Costituzioni- tassare gli yacht e i consumi d’alta gamma, tagliare i costi delle istituzioni e quelli militari imposti da Washington, colpire le grandi fortune, le ricchezze ereditate, i diritti acquisiti, le retribuzioni, pensioni e liquidazioni da Sodoma/Gomorra. E’ sempre più faticoso far avanzare la civiltà.
Più che mai allora si impone il ribaltamento integrale, ma le sinistre proteggono l’esistente. Tutto il nuovo che pensano, fallisce. Nessuna formula giacobina, sia essa girondina o montagnarda,funziona perché non esistono i leader, le idee-forza, i programmi. La politica che conosciamo muore. La salvezza verrà dalla non-politica.
La gente dovrà essere guadagnata coi fatti, non coi sillogismi, a desiderare le novità grosse. Certamente non sarà attratta dal bouleversement del ’68, meno che mai da quello della Comune parigina del 1871: centomila morti inutili, visto che dettero la vittoria a Thiers. Le corti marziali funzionavano ancora nel 1875. Fu molto più clemente Charles de Gaulle (altro grande sconfitto, però nobile. Si era illuso di realizzare la cogestion e la participation, ossia le cose serie che la vecchia politica credette di strozzare nella culla).
A.M.Calderazzi