Nella sua celebre Satira VI, antifemminista senza infingimenti, il poeta Giovenale aveva scritto che una donna bella e pudica era Rara avis in terris , come a dire mosca bianca. Oggi Giovenale, che surclassava Orazio nel fustigare i costumi, sarebbe un autore maudit: come si era sognato di scrivere politicamente scorretto?
Eppure un emulo di Giovenale, capace di insultare una fede condivisa dai Continenti senza eccezioni, è improvvisamente sorto: si chiama Gabriele Romagnoli e su ‘Repubblica’ ha pubblicato, nei giorni dei grandi dispiaceri per la presidente brasiliana Dilma Rousseff, il temerario pezzullo “Panem, Non Circenses”.
Per sostenere che le grandi masse, carioca e non, hanno bisogno di pane invece di un Mondiale o di un’Olimpiade in più, non ci vuole grande coraggio (è addirittura banale). Ma bisogna essere leoni, impazziti o ubriachi oltre a tutto, per sostenere che “il calcio come oppio dei popoli ha smesso di funzionare”. Romagnoli, il Giovenale dei nostri giorni, così rancoroso nei confronti degli stadi, rischia d’essere messo a un Indice che non perdona. Non doveva bestemmiare che “lo sport in genere, il calcio in particolare, sono stati fin qui formidabili diversivi. Hanno coperto le macchie, ma distrutto definitivamente i tessuti. Paesi impresentabili hanno allestito vetrine fasulle: Ai popoli viene raccontata la comprovata bugia che l’organizzazione di una Olimpiade o di un Mondiale è un’occasione per la crescita economica. Di chi? Di una congrega che si spartisce gli appalti. Per gli altri, briciole avvelenate. Si scopre che il fiume dell’indotto è un rigagnolo. A fine manifestazione restano ecomostri da demolire con gli esplosivi o da consegnare agli squatter. La Grecia già pericolante si è inflitta il colpo di grazia con le Olimpiadi di Atene 2004. Un Mondiale o un’Olimpiade in più è un’opportunità sì, ma non per il popolo: per la casta di potere (…) Qualunque cosa uno pensi del governo Monti -è sempre Romagnoli-, almeno di questo gli va dato atto: una delle sue prime decisioni fu di bloccare la candidatura olimpica di Roma. Lo fece pronunciando una frase ineccepibile: “Questa avventura metterebbe a rischio il denaro dei contribuenti”. Incalza l’allievo di Giovenale: “Di questo si tratta: giocare d’azzardo con denaro altrui, sapendo che al tavolo ci sono pure un paio di bari che vinceranno comunque. Questo sta facendo il Brasile”.
Tanto insolentire al calcio, al concetto stesso di Olimpiade o di Mondiale e al WonderBrazil è intollerabile. Romagnoli merita la cicuta socratica. Va bene tutto: inneggiare alla Marcia su Roma; spernacchiare ai fiori d’arancio omo; persino dubitare che gli F35 ci siano indispensabili; ma dir male del pallone re dello Sport disinteressato, più candido della neve e generatore di nobili valori, è vilipendio stomachevole. Dovettero far morire Socrate corruttore della gioventù; ma Romagnoli non speri di farla franca come Giovenale, che morì di morte naturale. Lo Sport non si tocca. Il Romagnoli che lo fa dovrà pentirsi amaramente. Forse singhiozza già mentre scriviamo.
Porfirio