Lucio Sergio Catilina tentò invano di portare al potere la fazione popolare; morì in combattimento nel 63 a.C.. Perché invocare lui, quando tanti altri politici si opposero ai governanti con più fortuna?
Risposta: perché le coincidenze col nostro oggi sorprendono. Paragonare la vicenda delle ‘larghe intese’ a quelle della Roma che alla sconfitta e morte di Catilina era già un vasto impero può apparire ridicolo. Eppure sono processi che si assomigliano.
Nel tempo di Catilina la Repubblica moriva: nell’anno 49 Giulio Cesare, varcando il Rubicone, se ne sarebbe fatto sovrano (ma non volle prendere il titolo di ottavo re di Roma). Esplosa da città-stato a grande potenza di territori sterminati e tensioni irriducibili, i suoi assetti aristocratici non reggevano più. Già un ottantennio prima Caio Mario, generale conquistatore di regni, sette volte console, aveva raggiunto il potere di un monarca militare che sfidava tutti gli ottimati messi insieme. Li sfidava sia perché la gestione imperiale esigeva un potere superiore a ogni altro, sia perché erano le masse proletarie e ‘borghesi’ che spingevano i personaggi molto forti come Mario ad aggredire l’egemonia degli aristocratici, padroni del Senato. Il passaggio dall’oligarchia degli ottimati alla monarchia democratica appoggiata dalla plebe e dai ceti intermedi era fatale. In realtà Lucio Sergio Catilina fu il precursore che spianò i sentieri all’uomo del Destino, Giulio Cesare; anzi fu segretamente mandato avanti da Cesare e da Crasso perché il regime dei senatori ricevesse una spallata forte.
Catilina non era un probo: aristocratico pieno di debiti, spregiudicato, accusato di un delitto, sospettato di altri, la propaganda senatoria ne annerì la fama. Invece non sono mancati gli studiosi e gli artisti che ne hanno additato il ruolo politico e di testimonianza, Il suo giovanile parteggiare per Silla non lo collocò propriamente a fianco dei proletari.
Invece le posizioni qualificanti, quelle che lo portarono alla sollevazione armata, furono dalla parte del popolo. Chiedendo la cancellazione dei debiti avvantaggiava anche i patrizi avventurosi come lui, ma il programma di proscrivere i ricchi e distribuire terre ai nullatenenti era inequivocabilmente anticonservatore.
“Catilina -ha scritto uno storico- fu l’esponente del disagio dell’epoca. Agì significativamente per rompere la cristallizzata situazione della repubblica aristocratica. Che sia stato spinto più da ambizione che da generosità o da lucida visione politica conta meno del fatto che cercò di scuotere l’ordine costituito. Il suo movimento era storicamente giustificato: in un certo senso precorse Cesare. La tradizione lo ha colorato a tinte fosche, sottolineando gli aspetti demagogici. Ma le sue indubbie responsabilità non devono far dimenticare la durezza con cui l’oligarchia difendeva il proprio monopolio”.
Varie opere drammatiche furono dedicate a Catilina: da Ben Johnson nel 1611; da Crébillion nel 1748; da Voltaire quello stesso anno; da A.Dumas padre esattamente un secolo dopo. Nel 1850 Ibsen fece di Catilina un simbolo della lotta contro il potere socialmente ingiusto.
Catilina agì perché l’assetto repubblicano si spegneva. Anche il nostro sistema è minacciato di morte: da una crisi economica strutturale come dal coma della democrazia rappresentativa-parlamentare e dall’immoralità dei gestori di questa ultima. Dopo un lungo ventennio di malattia grave la nostra classe dirigente, fatta anche di burocrati, boiardi e parassiti di alta gamma, non ha ancora avviato alcuna terapia: nè riforme, né tagli ai costi della politica e delle istituzioni, né lotta alla corruzione. Perdurano persino le forme degenerative più estreme, quali il sacrificare la solidarietà agli handicappati gravi per non toccare le spese di puro sfarzo -il Quirinale!-, quelle militari e diplomatiche, le rendite e i privilegi delle corporazioni più rapaci. I tempi sono maturi per un eversore: in mancanza di meglio, Catilina.
Impressionano i parallelismi di linee tra il vertice dell’oligarchia combattuta da Catilina e il vertice dell’oligarchia odierna. Nel 63 il capo del regime senatorio era Marco Tullio Cicerone, e la sua strategia per salvare le istituzioni era la concordia ordinum, cioè la coalizione tra i patrizi e i cavalieri (ceti emergenti, gruppi economici), alleanza successivamente presentata dal console-sommo oratore come consensus omnium bonorum. Chi saprebbe vedere una differenza rispetto alle ‘larghe intese’ volute da Giorgio Napolitano?
La Grosse Koalition di Cicerone suscitò il tentativo armato di Catilina, seguito dal breve trionfo politico di Cicerone. Non molto dopo questi cadde: esiliato per avere messo illegalmente a morte nel Carcere Mamertino, sotto il Campidoglio, cinque seguaci di Catilina.
Theodor Mommsen, storico e premio Nobel, sottolinea che “il partito popolare a Roma ornava di fiori e corone la tomba di Catilina come un tempo faceva per quelle dei Gracchi. Il popolo si era posto sotto le bandiere di Cesare aspettando da lui ciò che Catilina non era stato capace di dargli”. E ancora: “La sollevazione di Catilina fu simile alle battaglie tra capitalisti e nullatenenti che un secolo prima avevano sconvolto il mondo ellenico”. Secondo Mommsen gli oligarchi, i Pauci, usarono con Catilina metodi altrettanto spregiudicati quanto i suoi. Se il Nostro trovò spazio per la sua rivolta fu perché l’oligarchia era ormai impotente di fronte alle crisi che si ingigantivano.
Il Cicerone della morente nostra Repubblica è Giorgio Napolitano. Egli crede di avere trovato nelle ‘larghe intese’ la formula che farà sopravvivere il regime cleptocratico. Nell’immediato può avere ragione: finché non sorgerà un giustiziere più fortunato di Lucio Sergio. Potrà anche essere un giustiziere collettivo, il popolo della democrazia diretta (selettiva) che forse si ribellerà, ben più energicamente di coloro che votarono M5S o si astennero in massa. I governanti, gli alti burocrati, i carrieristi. i malfattori che oggi usurpano il potere, saranno sottoposti a processo come a Norimberga.
Per Napolitano l’esito sarà meno crudo di quello che toccò 21 secoli fa al collega della concordia ordinum:: Marco Tullio fu ucciso mentre cercava di mettersi in salvo; accadde non molto dopo le Idi di Marzo che misero a morte Cesare. La futura Norimberga sarà più clemente, per il Processato in chief come per gli altri.
Antonio Massimo Calderazzi