Lo zapaterismo come stagione, come idea-forza, categoria, modalità e anche tentazione autolesionista, nasceva dieci anni fa. Pochi mesi dopo l’avvento di José Luis Zapatero alla testa del partito, il PSOE tornò al potere, sconfiggendo la destra di Aznar. Il longilineo leader, non ancora quarantaquattrenne, entrò alla Moncloa, il palazzo Chigi di Madrid.
La sostanza dello zapaterismo emerse subito: ridotti al silenzio i contenuti storici del socialismo -anticapitalismo, sforzo per il livellamento delle condizioni- si dette impulso ai “diritti”. Il PSOE di Zapatero si offriva come gestore volenteroso dell’economia di mercato, lasciando cadere le rivendicazioni sociali e dunque portando alle conseguenze finali la scelta liberista compiuta negli anni Ottanta da Felipe Gonzales. In cambio dell’abbandono del classismo, Zapatero esigé la modernizzazione accelerata del costume: anticlericalismo e avanzata delle rivendicazioni radical-giacobine e di minoranza. Il governo mosse all’attacco di varie posizioni e istituti tradizionali, promuovendo laicismo spinto, ampliamento del ricorso all’aborto, nozze tra omosessuali, diritto di adottare figli per conviventi dello stesso sesso, femminismo programmatico (metà esatta dei ministri alle donne), regolarizzazione degli immigrati clandestini e dubbie crociate analoghe. Insomma “i diritti”: sinistrismo degli atteggiamenti e delle voghe, abbandono delle rivendicazioni di sostanza. La Spagna di Zapatero si faceva spregiudicata e dissacratrice di retaggi, ma borghese.
Fin qui, era la riproposizione aggiornata del liberal-radicalismo di Manuel Azagna, il principale tra i promotori della svolta progressista e anticlericale che nel 1931 mise fine alla monarchia e ad alcuni assetti tradizionali. Azagna, come tre quarti di secolo dopo farà Zapatero, non combatteva bensì difendeva il capitalismo. La lotta alla proprietà era piuttosto l’impegno degli anrchici, i quali peraltro entrarono nel potere della Repubblica solo dopo lo scoppio della Guerra Civile. Prima avevano sì mosso attacchi, senza mai riuscire ad imporre le rivendicazioni sociali richieste dalla miseria del proletariato, soprattutto quello delle campagne. In effetti la Repubblica non aveva vinto nel nome del popolo: al contrario si era rivolta ai generali, specificamente a Francisco Franco, per schiacciare coll’artiglieria i tentativi rivoluzionari degli anarchici e dei socialisti nelle Asturie e altrove.
La Repubblica non fece riforme sociali e non attaccò il potere delle destre economiche. Invece fomentò l’ostilità alla Chiesa -tollerando gli incendi degli edifici religiosi e molte altre violenze, anche sanguinose- e praticò lo sfavore ai militari e ai nobili (non ai ceti possidenti). La Repubblica promosse l’istruzione popolare e l’aggiornamento di alcuni indirizzi e leggi. Pressocché nulla fece per i braccianti agricoli, letteralmente sottoalimentati per miseria, talché le campagne non poterono riconoscersi nel liberalradicalismo del borghese Asagna.
Dunque la Repubblica si trovò debole di fronte alla ribellione dei generali. Dopo le illusioni sorte sulla vittoriosa difesa di Madrid e su alcuni modesti successi sul campo, la Repubblica era già condannata senza speranza nella primavera del 1938, un anno prima che si spegnesse. Da quel momento Manuel Azagna, che privilegiando il progressismo illuministico dei ceti medi urbani a danno delle aspirazioni popolari, era stato il maggiore responsabile del crollo delle istituzioni, tentò di imporre ai suoi un negoziato di compromesso con Franco, ormai avviato alla vittoria. Il governo madrileno, dominato dai comunisti, volle invece la resistenza ad oltranza, coi lutti e i drammi supplementari del prolungamento della guerra: nell’illusione che il Secondo Conflitto mondiale scoppiasse in tempo per salvare la Spagna repubblicana. Invece si aprì cinque mesi dopo la fuga in Francia degli ultimi combattenti e profughi repubblicani.
Al suo avvento al potere Zapatero fece le stesse scelte di fondo di Azagna: i “diritti” delle frange e le priorità artificiali invece del socialismo. Legalizzò le nozze omosessuali e altre “conquiste”, compresa l’adozione di figli altrui da parte di conviventi dello stesso sesso. Abbassò l’età richiesta alle giovani per poter scegliere di abortire. Allargò la regolarizzazione degli immigrati clandestini. Mise fine alla tregua tra le fazioni sulle memorie della Guerra Civile. Rifiutò le vie della pace con una Chiesa profondamente diversa da quella che nel 1936 si era schierata con Franco. Risultato: già nell’ultima fase del suo governo Zapatero era ‘el lider insostenibile’, costretto a rinnegare la propria ideologia -giudicata lunatica o repellente dalla maggioranza del paese- per resistere alcuni mesi in più. La fine arrivò nel dicembre 2011.
J.L.Zapatero è giovane, nato nel 1960, e potrebbe provare a tornare in campo. Difficilmente riscriverà ‘i diritti’ sulla sua bandiera. Piuttosto lo zapaterismo in purezza, con le sue insipienze, tenterà la sorte da noi o altrove.
A.M.C.