LE AMBASCIATE SONO IMPRODUTTIVE, CHIUDIAMONE UNA SETTANTINA

Ora che due sommi diplomatici di carriera del governo uscente, il ministro e il sottosegretario degli Esteri, vengono lapidati -persino al di là delle loro carenze- per le disfatte sul fronte indiano, non è il momento per una agonizing reappraisal  del concetto stesso di diplomazia? In pratica, per una sua riduzione a livelli giustificabili oggi, contro l’improduttività e l’irrilevanza tradizionali?

A dire il vero, una scorsa al Bilancio del Ministero degli Esteri non incoraggerebbe i propositi demolitori più feroci. La previsione di spesa per il 2012 era indicata in 1684 milioni di euro, pari allo 0,21% del bilancio totale dello Stato. Una spesa che non griderebbe vendetta. Eppure almeno un terzo di quello 0,21% è buttato; andrebbe destinato a voci di spesa meno futili. Le sedi diplomatiche del rango più alto, le ambasciate, risultano 127, di cui 26 nei paesi dell’Unione Europea. L’Unione essendo supposta d’essere un abbozzo di Stato confederale, le ambasciate non servono più. Servono uffici di collegamento tra le amministrazioni nazionali, più servizi culturali e di promozione commerciale. Le ambasciate sono anche queste cose, però schiacciate da funzioni di mondanità e di vana asserzione del prestigio, funzioni per cui occorrono scaloni, saloni e arazzi. In più esse prenotano alberghi per le visite di Stato, organizzano shopping e diversivi per le consorti/compagne di ministri, mandarini e small fry  (Webster’s: ‘Little fellows of no consequence).  Compiti disdicevoli per gli ambasciatori, che troppo spesso si illudono di svolgere le funzioni di un tempo, quando riferivano solo al Re, quando contribuivano a determinare la pace o la Grande Guerra.

Il Commonwealth britannico non è al suo interno più integrato dell’Unione Europea. Il Canada p.es. è perfettamente autonomo rispetto al Regno Unito, perciò a Londra non ha un’ambasciata, ha una High Commission, cioè più una burocrazia che un’entità diplomatica. Sembra nominalistica ma non è, la distinzione tra Ambasciata e High Commission (o come altrimenti si chiamerà nell’Unione Europea l’organismo di collegamento di cui trattiamo). I divari di rango e di costi c’è. Volerle ‘ambasciate’ le nostre rappresentanze a La Valletta, a Nicosia, allo Stato della Città del Vaticano,  in decine di altre capitali del pianeta, implica valori immobiliari e costi più alti. Allora, anticipando decisioni analoghe da parte degli altri governi europei, dovremmo chiudere e vendere tutte le ambasciate all’interno dell’Unione, sostituendole con uffici meno impegnativi. Anche per conclamare che i partner UE non sono paesi stranieri.

Le ambasciate nel resto del globo si potrebbero dimezzare di numero, e ciascuna delle sopravvissute coprirebbe una o due eliminate. Si potrebbero istituire ambasciate mobili, cumulative, at large. Il valore immobiliare delle dismissioni sarebbe considerevole. Il nostro paese ha sempre risparmiato sui dormitori pubblici e sulla manutenzione delle scuole, ma ha trattato con signorile larghezza le sue ambasciate: arazzi, mobili intarsiati, i paraphernalia, gli chef e i domestici per ricevimenti e colazioni. Il nostro paese ha anche incoraggiato la sicumera dei diplomatici. A un giovane consigliere di legazione (si badi, non d’ambasciata, che è scalino superiore) chiesi a quale grado dell’esercito si equiparava. A me che m’aspettavo ‘capitano, forse maggiore’ rispose con mondana disinvoltura ‘generale di brigata’.

Non solo nostri i misfatti da diplomatici. Trentacinque anni fa, quando l’India era un subcontinente affamato, nelle cui strade si raccoglievano ogni mattina i morti di miseria, si vedevano spesso a Londra le maestose Rolls Royce dell’ambasciata indiana. Il giorno del Giudizio Universale non ci sarà pietà per chi a New Delhi destinava fondi per i deretani d’ambasciata e li negava ai miseri, candidati carogne per le operazioni della Nettezza Urbana calcuttese, mumbayese, ecc. Deretani hindu e sikh trattati persino meglio dei nostri. Un povero ambasciatore Ducci lo vidi un po’ infelice nel sedile posteriore di una Fiat 1900 blu, stretto tra il sedere del presidente del Consiglio in carica e quello del governatore della Banca d’Italia. Andavano all’aeroporto di Heathrow, meno comodi dei pari grado indiani.

La mattina prima c’ero anch’io tra  5 o 6 corrispondenti italiani, in uno dei salotti della nostra Ambasciata, a sentire il governatore Baffi. Il quale a un certo punto chiese una sigaretta; uno di noi gliela offrì delle proprie. E l’ambasciatore, sdegnoso: “Ci sono le sigarette della Casa”. Questo sì era orgoglio dell’Istituzione! Giorni fa un noto intellettuale malalingua ha così descritto il ruolo di un nostro diplomatico stratosferico: “Organizzare pranzi, purché non cucini Lui”.

Non so quanto frutterebbero la vendita degli immobili diplomatici nelle Belgravie di settanta-ottanta capitali, più il risparmio sulla paga dei plenipotenziari nonché sulle uniformi che indossano alla presentazione delle credenziali. Ma so che metteremmo in sicurezza anticrolli/anti-incendio le nostre scuole. Le credenziali le manderemmo via mail. Anche in maniche di camicia.

A.M.Calderazzi