Gli studenti che tentano le prove di selezione per la Facoltà di Medicina hanno una prima delusione di fronte ad una certa facilità dei quesiti o per lo meno per una loro stranezza. I pochi fortunati che superano la prova hanno una seconda fonte di delusione quando scoprono che i primi anni di Medicina sono basati su nozioni di anatomia, biologia, genetica, chimica e biochimica. Gli studenti mal comprendono questa inspiegabile punizione, scalpitando invece per salvare vite umane e fare grandi scoperte. Viene ripetuto loro che questo non è possibile e devono proprio adattarsi a studiare le basi molecolari della vita.
Gli studenti allora elaborano due distinte strategie, differenziate in base al sesso: le future dottoresse si armano di santa pazienza, seguono le lezioni/esercitazioni con grande cura e prendono degli appunti tridimensionali a 4 colori in cui compare tutto quanto detto, fatto, proiettato e anche solo pensato a lezione. Molte di queste dottoresse sbancheranno tutti nella vita professionale.
I futuri dottori maschi invece usano un approccio virile, “di questa roba qui non me ne frega niente”, e così via. Rimane tuttavia il piccolo scoglio degli esami, che lo studente maschio ha già scoperto (di anno in anno gli studenti si trasmettono appunti, ma anche modi di sopravvivere) come superare con astuzia. I test scritti a domande multiple vengono agilmente svicolati grazie all’aiuto della componente femminile, che ha studiato e quindi sa. Lievissimamente più difficile superare quei pochi esami ancora condotti su base orale. Il limite intrinseco di un esame del genere è rappresentato dal fatto che al docente richiede tempo ed energie molto superiori a quelli scritti. In compenso, il colloquio è in grado di fornire una valutazione abbastanza accurata non solo sulla conoscenza del campo, ma anche sulla personalità dello studente e il suo potenziale al di fuori nel campo specifico.
Per lo studente invece rimane la necessità di rispondere a domande specifiche, insomma quelle che richiedono di avere studiato.
Negli ultimi anni lo studente ha escogitato una strategia basata sulla sottrazione del tempo. E’ noto che un docente medio non “tiene” oltre i 15-20 minuti, per cui si tratta di occuparlo al massimo con l’impiego strumentale della lingua nota come studentese. La genetica insegna che quando si fondono cellule di specie diversa si ha un rigoglio nella progenie. E questo è confermato dagli ibridi che si ottengono nella pratica linguistica quando si fondono insieme linguaggio di film, televisione, giornali gratuiti, messaggi sms e soprattutto internet.
Prima di tutto, lo studente saluta con uno squillante “salve”, che si riteneva confinato alle preghiere dedicate alla Vergine, all’inno all’Italia di Virgilio e che invece è entrato in linea diretta come traduzione filmica dello yankee “hello”. I più colti giungono al “buondì”, generalmente ritenuto prodotto industriale della Motta, mentre invece è considerato dagli studenti una forma rispettosa di saluto.
Superato questo trascurabile scoglio, lo studente entra caldo a rispondere alla prima domanda, ad esempio un banale “che cosa è la cellula?”. Questa domanda diretta viene affrontata con un approccio del tutto indiretto. Lo studente usa “per quanto riguarda la cellula, praticamente questa è costituita da…”, con guadagno netto di alcune frazioni di secondo. Qui iniziano le fusioni somatiche fra cose orecchiate qua e là ma legate fra di loro da “praticamente”, “tra parentesi”, “tra l’altro”, “peraltro”, “comunque”, “effettivamente”, “sostanzialmente”, “fondamentalmente”, “è scientificamente provato” (queste ultime parole lunghe). Il tutto seguito, preceduto e inframmezzato da “apparentemente”, recente acquisizione dal Dr. House. Una esposizione inframmezzata da frasi laterali porta ad una dendifricazione in grado di fornire un guadagno di tempo più significativo, e soprattutto incrina la capacità del docente di seguire quello che sta ascoltando.
La vecchia precauzione di seguire il verbo per monitorare il flusso logico viene abilmente sventata dallo studente, che spara una serie di ulteriori legami verbali fusi in un conclusivo “ovviamente”. I circuiti neuronali del docente vanno incontro alle prime claudicatio, ma questi con sforzo estremo cerca di rifarsi chiedendo chiarimenti diretti su aspetti prima definiti neri e poi bianchi. Allora lo studente tira fuori il primo degli assi che ha nella manica, costituito dallo strumento noto come “assolutamente”. Absolutely è un termine cui il Merriam-Webster attribuisce un preciso significato: in mano studentesca diventa invece una pasta plasmabile al bisogno, soprattutto quando non seguito da nulla. Qui il docente cade nella trappola dialettica, chiedendo espressamente perché la prima risposta è nero, seguita poi da bianco.
Lo studente sorride con sicurezza e con un certo compatimento e accede al secondo asso, rappresentato da “appunto”. Grazie al linguaggio televisivo, “appunto” è entrato nella conversazione generale per fortificare, contraddire, ingenerare dubbio, dare un che di erudito alla conversazione, in sostanza un inutile iterativo significativamente adottato dagli studenti come un riempitivo temporale, ma anche risolutore dialettico.
Il circolo del Willis del docente tira gli ultimi (vista anche la crescente età media del corpo accademico) e l’appannamento generale fa sí che di fronte ad un ultimo “appunto” che lega fra di loro due risposte completamente in contraddittorio il professore si arrenda, cali le sue difese e confessi a se stesso che in fondo altri lo bocceranno. Lo studente invece comincerà a segnare le sue tacche personali: anche questo docente fregato. Appunto.