RISORGESSE IL DUCE GARRIREBBERO LABARI NERI SULLE TERRAZZE DI SINISTRA. DOPO UN TOT

Mi capitò di occuparmi delle terrazze romane, cioè della mondanità sinistrista nell’Urbe (il clima si addice ai parties sotto le stelle) un anno che il letterato Enzo Siciliano ascese a presidente della Rai. Elettrizzata, la contessa Donatella Pecci Blunt annunciò “una gran cena”. E la marchesa Sandra Verusio di Ceglie, villa sull’Appia e appartamento da cinema in centro: “Era quel che volevamo: una persona che pensasse a sinistra, ma che non ‘giocasse’ a sinistra”. La gioia delle altre lionesses filoproletarie fu parimenti incontenibile. Paolo Conti cronista del ‘Corriere’ scrisse di ‘pieno fermento’ del terrazzismo: “Si respira aria di Liberazione”. Spiegò che il terrazzismo ” è quella categoria dello spirito, bene illustrata dal film ad hoc di Scola. Prevede: grande loggia con vista (imbattibile il primo modello Marta Marzotto degli anni Guttuso, con piazza di Spagna ai piedi), cibi poveri (pasta e ceci. vino bianco), invitati di sinistra, gran classe e lotta di classe, baciamano e progressismo, buone letture e voto popolare (…). Adesso è tutto un brindisi. c’è la nuova Rai: Giancarla Rosi, moglie di Franco, grande animatrice di serate romane, si irrita quando sente parlare di salottismo continuo: “E’ un’espressione liquidatoria che si tira fuori quando nominano uno giusto al posto giusto. E poi che strazio questa faccenda delle terrazze, dei salotti: ma la gente dove dovrebbe riunirsi la sera per parlare? sulle piazze? nelle portinerie? nei cimiteri?”

Già, mi chiedo anch’io, dove la sera? Quello che però Giancarla non coglie è che la gente per cui si prodiga -mogli, fidanzate, compari, portaborse, leccaculi della Nomenclatura- è persino peggiore del demi-monde che fiorì a Roma nella transizione tra il Papa e il Re; e lanciò le stesse terrazze. E’ peggiore perché ha trionfato coll’impostura. I burocrati, palazzinari, faccendieri ed ex-eroi garibaldini della Roma da poco sabauda non avevano fatto credere agli elettori popolani d’essere dalla loro parte. Il suffragio universale e i media non esistevano, mentire alle grandi masse era superfluo. Chi aveva accesso al truogolo si abboffava.

Questi intellettuali degli attici radical sono uno dei volti più sozzi nella storia delle nostre bassezze. Se stanotte il Duce tornasse a palazzo Venezia, domani sulle terrazze boldriniane sventolerebbero i gagliardetti. Le crisi di coscienza sarebbero poche, così come pochissime furono nel Ventennio, finché il Duce cominciò a perdere la guerra (dove militerebbe l’intellighenzia semirossa d’oggi, se il 10 giugno 1940 Mussolini avesse trebbiato il grano invece di affacciarsi a quel Balcone?).

Tornando alla ‘aria di Liberazione’ che si respirò sulle terrazze entusiaste di Enzo Siciliano: quando la respireremo noi aria di liberazione, noi che manteniamo con l’Imu il culturame demo-cleptocratico? Quando l’insurrezione da disgusto triplicherà la sua forza, rendendo superfluo il golpe giustizialista?  Intesi come comparse, come bassa corte, come intrattenitori e clientes, gli intellettuali li ammiriamo: sono spiritosi, amiconi, prolungano la tradizione della commedia dell’arte e dei fescennini. Ma paragonati alle ottantenni artritiche delle parrocchie che si sfiancano di stanchezza per servire alle mense dei poveri, i mondani da terrazza sono pure feci. Per loro ci vorrebbero i barbari di Odoacre e di Totila: cuori animaleschi sì, ma non infestati di tenie come quelli dei salotti boldriniani e pisapieschi.

Porfirio