Le ragioni del cambiamento
I parrucconi sono ancora fra noi. Tenaci. Insofferenti. Pronti a scendere in campo con tutta la faziosità (e non è poca) di cui sono capaci. L’ultima occasione l’ha offerta (e la offre) la Costituzione. Attorno alla legge fondamentale dello Stato si sta sviluppando una feroce querelle solo per il fatto che qualcuno ha sostenuto che bisognerebbe metterci mano per adeguarla ai cambiamenti intervenuti nella società italiana in questo ultimo mezzo secolo. Dal I948 (anno della sua entrata in vigore) molta acqua è passata sotto i ponti. I mutamenti intervenuti nel corpo del nostro paese sono risultati sempre più rapidi. Oggi sono addirittura incalzanti. E domani? Domani chi può dirlo. Nessuno è in grado di prevederlo. Quali saranno i ritmi del cambiamento fra cinque, dieci, cinquanta, cento anni è difficile, per non dire impossibile, immaginarlo.
Eppure, nonostante l’incertezza che domina il futuro, c’è chi, con ostinazione, e rabbia, si rifiuta di prendere in considerazione l’idea che sia giunto il momento di mettere in discussione la Costituzione. Insomma la questione sta sollevando un vespaio di polemiche. C’è chi vorrebbe intraprendere un percorso che consenta di avviare l’adeguamento della Costituzione ai cambiamenti che sono intervenuti nella società italiana e chi, invece, si dichiara assolutamente contrario ritenendo ogni tentativo in questa direzione un vero e proprio attentato al carattere democratico del nostro paese. Gli accenti sono alti, a volte addirittura furiosi. I parrucconi di tutte le tinte alzano alte grida per denunciare chi si muove sulla strada del cambiamento della legge fondamentale dello Stato. Il senso di queste polemiche (vere e proprie risse senza esclusioni di colpi) sta nelle passioni che hanno caratterizzato e caratterizzano settori non piccoli della società civile e che, dalla fine della seconda guerra mondiale, hanno imperversato in ogni comparto della vita coinvolgendo un grande numero di persone. Una società quella italiana vocata come e più delle altre a scendere in campo con violenza? Difficile sostenerlo senza rischiare di apparire faziosi o, comunque, di parte. Un rischio, diciamolo senza falsi pudori, che corriamo tutti. Per una ragione fondamentale: che il coinvolgimento non dipende solo da noi ma dalle vicende in cui, volenti o no, finiamo. E’ la storia che ci portiamo dietro, con tutte le sue implicazioni, che detta i nostri comportamenti. Ecco perché ci troviamo spesso, per non dire sempre, al centro di un groviglio di problemi che non è facile, per la loro complessità, districare. D’altra parte non è forse proprio la complessità delle questioni che siamo chiamati ad affrontare a dare senso (e sale) alla nostra vita? Non sta in queste difficoltà il significato più profondo del percorso che ognuno di noi ha deciso di scegliere assumendosi tutte le responsabilità che ogni scelta comporta?
Domande retoriche. Ma allora perché meravigliarsi se, dopo oltre mezzo secolo di vita, in un mondo che sta segnalando mutamenti straordinari (straordinari rispetto all’idea che ce ne eravamo fatti), c’è chi sostiene che è arrivato il momento di riscrivere la Costituzione. Oggi. In attesa di doverlo rifare fra venti, quaranta, sessant’anni. Per un tempo infinito. Tutto invecchia. Anche la Costituzione.