QUANDO LA DECRESCITA FELICE TROVERA’ UN PROFETA NON DISARMATO

A guardarci intorno, è esiguo ma non irrisorio il popolo di coloro che hanno abiurato la fede nello sviluppo, e dunque la logica fondante del mercato e del capitalismo d’oggi. Si fanno meno rari i riferimenti ai teorici della decrescita: dal romeno Nicholas Georgescu-Roegen (gli si attribuiscono i concetti di bioeconomia e di entropia) al polacco Zigmunt Bauman, all’italiano Maurizio Pallante, che con Andrea Bertaglio cerca di animare da noi un movimento politico della decrescita. Con più convinzione si richiamano le idee di Serge Latouche, cui l’appartenenza alla tradizione francese facilita un’insolita chiarezza e incisività dell’argomentazione. Sono ormai molti a riflettere, predicare, inveire contro l’economicismo che innerva la modernità (modernità che nella sostanza vige da tempo immemorabile). Peraltro le tesi che conosciamo -non sono certamente tutte- si confondono quasi sempre con parole d’ordine collegabili alla decrescita ma da essa differenti: l’ecologismo, le sociologie alternative, le enunciazioni politiche progressiste; e perdono concentrazione. Sarebbe più utile separare la decrescita da decine di altre tematiche probe.

Serge Latouche non divaga. Al centro del pensiero suo e di quanti vivono l’attesa di una svolta radicale  (anzi brutale, perché implica il rifiuto del benessere e il ritorno alla povertà) Latouche ha messo la limitazione dei desideri, cioè la frugalità: condizione, sostiene, per quella che chiama ‘abbondanza’. Per il Nostro l’economia moderna -moderna di tre secoli- si basa su una perversione morale: l’idea che greed is good. La dipendenza dal benessere materiale nella quale siamo precipitati è per Latouche una patologia da cui guarire. Occorre organizzare una società diversa, inventare un altro modo di vivere. Quale che sia l’efficacia della descrizione di tale diversità, è merito del teorico francese aver messo a punto un pensiero circoscritto al dilemma crescita-decrescita e all’imperativo di respingerere la pseudo-eticità dell’arricchimento ininterrotto.

Tutto giusto. Ma il messaggio arriva a poche migliaia di seguaci: recepiscono, rielaborano, si galvanizzano, affollano la Rete con intenzioni e tematiche che inevitabilmente si allargano, sconfinando in crociate meritorie ma ormai tradizionali: difesa dell’ambiente, anticonsumismo, nuova morale, priorità agli alimenti che viaggiano poco,  fuga dalla congestione metropolitana, lotta alle spese militari, e tante altre. Movimenti ereticali di origine antica, come tali molto degni, ma già riproposti da decenni, con poca fortuna. Hanno reclutato adepti che inevitabilmente si annullano nell’immensità dei numeri degli idolatri del Pil. Per ora il rifiuto dello sviluppismo è un movimento senza futuro. E’ la proposta estrema di una setta di zeloti. Tale resterà fino al giorno di un cataclisma ideale quale pochissime volte si verificò nella storia. Nessun principio a vocazione universale è mai sorto in assenza di una grande guida, di un Maestro. Buddha Confucio Cristo Maometto Lutero, tutti capi religiosi. I leader laici, incapaci di generare visioni (o illusioni) ultraterrene, non hanno fatto nascere che movimenti periferici, limitati nel tempo.

In altre parole. C’è Serge Latouche con la decrescita genialmente felice. Ci sono migliaia di blog simpatizzanti, ci sono attivisti fervidi di iniziative e di esperimenti. Ma in una prospettiva non lontana non accadrà nulla di decisivo. L’arricchimento di chi lavora, cioè ‘merita’, resterà il principale tra gli idoli della tribù planetaria, di recente ingigantita dai miliardi dell’Asia e di altri continenti.   Perché non accadrà nulla? Perché il rilievo sociale di quanti propongono ideologie alternative è insignificante. Sono sconosciuti. Le idee nascono nuove, quelli che le avanzano non contano. Magari sono politici o accademici, il che guasta. Quando le novità vengono da rivoluzionari di sinistra è persino peggio: l’esperienza di 224 anni dalla rivoluzione del 1789 attesta la falsità delle rivoluzioni politiche e l’insincerità di quanti le proclamano. Semplicemente i popoli non si fidano, così come oggi i proletari non si fidano più dei sindacati. Abbondano gli entusiasmi e gli sdegni del Web, ma sono fatti minoritari, sostanzialmente innocui.

Accadrà qualcosa quando, ammutoliti i politici e gli accademici, un Maestro conosciuto da tutti e magari odiato da molti, incarnerà un pensiero nuovo, scandaloso. Sarà un capo superiore ad ogni altro. Per esempio, un presidente americano di ben altro prestigio e inventiva che l’attuale. Meglio, molto meglio, un Papa demolitore e ricostruttore, che abbia agito clamorosamente invece di predicare e ‘invocare’ quotidianamente. Le nazioni si accorgeranno. Nulla sarà come prima. Dopo millenni di fede nella ricchezza, dubiteremo delle virtù del lavoro e del progresso materiale. Ci ricorderemo dei  disarmati profeti della decrescita felice.

l’Ussita