“Buffalo Bill, Toro Seduto e l’Arbitro al Quirinale”: l’editoriale di ‘Repubblica’, il 13 gennaio, ha questo di diverso dagli altri: ti lascia in dubbio se Scalfari l’abbia scritto nella sua qualità di Fondatore, o piuttosto in quella di controfigura di D’Alema o di Napolitano nel colossal legittimista di Cinecittà, ‘Non Possumus’. Nell’enciclica omonima, Pio IX ( ‘cittadino Mastai’ Carducci lo apostrofò perché levasse il bicchiere) scandì l’intransigenza verso le nuove idee liberali. Logico: si era visto togliere Romagna (1859), Umbria e Marche (1860) e la stessa Roma (1870).
Perché ci interroghiamo sull’animus di Scalfari il 13 gennaio? Perché in altre domeniche il Fondatore ci era parso più sciolto, quasi sbarazzino, aperto alle sperimentazioni. Questa volta, quale controfigura di D’Alema o Napolitano, il Nostro ha sillabato l’orrore per le novità. Papa Mastai-Ferretti non avrebbe fatto meglio. “A quanto -si è chiesto il Nostro- può arrivare il consenso che uscirà dalle urne alle varie forme di demagogia che si vale, ciascuna, di imbonitori ben collaudati? All’ingrosso, almeno 40% nel loro complesso. Marciano separati ma colpiscono insieme. Dunque la minaccia è forte”.
Che minaccia? “Non hanno programmi, salvo quello di mandare all’aria tutte le strutture esistenti, la democrazia rappresentativa, lo Stato di diritto, la Corte costituzionale, le imposte che devono essere ridotte al minimo. E ovviamente la politica e i partiti”. Così parlò Eugenio il Legittimista (dizionario= ‘fautore di un sistema costituzionale decaduto’) dell’Anno. Oppure, vista la sua passione per l’Esistente, il Coprofilo dell’Anno.
Una delle eresie esecrate da Mastai-Scalfari è la società civile. “Non si sa cosa rappresentino queste due parole, quale sia il nuovo che esse esprimono e il vecchio che condannano”. Forse, opina il Misoneista dell’Anno, “la novità consiste nel rifiutare il concetto (intendeva il Dogma) di democrazia delegata. Il più coerente da questo punto di vista è il grillismo, che prevede i referendum come unici strumenti di governo; peggio, prevede gestori della cosa pubblica guidati da capi pro tempore, in carica per pochi mesi a rotazione. Una sorta di condominio al posto dello Stato, cioè il peggio del peggio”. Il Solaro della Margarita dell’Anno dixit.
Se le varie formazioni antipolitiche e populiste, stima Non Possumus, avranno attorno al 40%, rimane il 60% per le formazioni “che si propongono il cambiamento e la modernizzazione per rinnovare le istituzioni senza distruggerle”. Questa sì è una notizia: sotto l’egida p.es. della Bindi le istituzioni saranno rinnovate! E quali sono queste formazioni? Risposta, il Pd, “il solo in tutto il panorama attuale che sia un vero partito e non si vergogni di dirlo, anzi lo rivendichi con orgoglio”. Quanta fierezza in questa riproposizione da Sillabo (sempre Pio IX, però 1864) dell’inoppugnabilità/nobiltà della partitocrazia!
Ci sarebbe, ammette Non Possumus, anche il centro di Mario Monti, a riscuotere una parte del 60%. Però, avverte, c’è un problema “estremamente inquietante. Se al Senato sarà necessaria un’alleanza tra il centrosinistra e i montiani, questi ultimi pretenderanno di prendere tutto il piatto della partita: un governo guidato da Mario Monti e strutturato a sua immagine”. Non Possumus non esclude che “ad elezioni avvedute i montiani si ravvedano”. Teme sì che “possano proporre la medesima soluzione a un Berlusconi che sarebbe sicuramente molto più arrendevole alle loro richieste”. Però conclude con virile speranza: “Non andrà così. Per fortuna dell’Italia c’è un arbitro al Quirinale”.
Anche questo è uno scoop. Apprendiamo che l’Arbitro, tra il 25 febbraio e il giorno della scadenza del Settennato. riuscirà a dare allo Stivale un Successore partitocratizzante. Non dovesse riuscirci, forzerà il Successore antipatico a pensarla come lui & Scalfari almeno per le prime settimane d’arbitraggio.
Le cose potranno andare come legittimamente auspica il Misoneista. Ma noi, non siamo legittimati a chiederci perché il Rinnovatore-delle-istituzioni-senza-distruggerle, dominus di un giornale che adora la modernità, si allinea al conservatorismo di D’Alema & Co., per i quali guai a toccare l’assetto incrostatosi in un sessantottennio di malazioni? Alla pari di D’Alema & Co., Scalfari ragiona e agisce come fosse un émigré a Coblenza in odio alla Rivoluzione. Gli émigrés avevano ottime ragioni, ghigliottina compresa, per non rimpatriare. Ma l’Inquilino del Colle, il Velista da Gallipoli (ora agroristoratore in Umbria) e il Fondatore non guadagnerebbero qualcosa se si dissociassero dai pochi che ancora credono nelle verità del 1947?
Perché imitano gli ultimi monarchici che andavano a Cascais a baciare la mano all’ultimo Re? E’ vero, D’Alema e Scalfari incarnano un passato non onorevole: però si riscatterebbero se dessero un’occhiata al futuro. Sanno d’essere co-imputabili d’avere ridotto la repubblica a una Gomorra, anzi Geenna. Ma gli italiani brava gente perdonerebbero.
Un ultimo nostro dubbio. Con un titolo modernissimo -dentro ci sono anche Buffalo Bill e Toro Seduto- Scalfari non avrebbe potuto essere meno rancoroso con Santoro, colpevole sì di avere rilanciato Berlusconi ma pur sempre gran tenore della sinistra? “Showman di provato talento, venditore di bubbole che rimonta in ogni occasione il vecchio film in cui Totò vende la Fontana di Trevi a Peppino De Filippo”: così Santoro è stato crocifisso da Non Possumus.
Ohibò.
Porfirio