GRILLO, I GIOVANI E UN PAESE DA RIGENERARE

Mi concedo una piccola nota autobiografica; è per mettermi alla berlina, non per pavoneggiarmi. Una trentina abbondante di anni fa scrissi un fondo di quotidiano in cui spiegavo come e perché Ronald Reagan non poteva diventare presidente degli Stati Uniti anche se il suo rivale, Jimmy Carter, non mi sembrava un genio. E che se per caso, invece, lo fosse diventato sarebbe stata una disastrosa pagliacciata (un’ “americanata”, come si soleva dire una volta) per il suo paese e per l’orbe terracqueo. Devo confessare che delle prestazioni dell’uomo come governatore della California, mica del Molise, non sapevo moltissimo, cosicché dal mio punto di vista si trattava essenzialmente di un attore di Hollywood, e neppure di un grande della categoria.

Probabilmente non riusciva a farmisi luce nel cervello l’idea che almeno nella Repubblica stellata, con le sue peculiarità socio-culturali e del sistema politico, chiunque potesse ascendere al vertice del potere, e in qualche modo cavarsela, indipendentemente dal suo curriculum. Come tutti sanno, non solo Reagan stracciò Carter, andò alla Casa bianca e ci rimase per otto anni, ma operò in modo da farsi generalmente giudicare uno dei migliori presidenti americani. Una valutazione, questa, che in verità stento non poco a condividere, ma per motivi diversi dalla difficoltà di ammettere di avere preso a suo tempo un bel granchio.

La nota mi serve comunque come premessa per un paio di considerazioni sull’attualità, profondamente dolorosa ma improvvisamente un po’ illuminata, almeno ai miei occhi, della nostra più o meno cara ma inguaiatissima patria. Fino a qualche settimana fa progettavo di scrivere due righe sul fenomeno Grillo, più che altro per paragonarlo a quello a prima vista analogo di Poujade, l’agricoltore francese che negli anni ’50, sullo sfondo di un’acuta crisi economica, sconvolse la scena parigina irrompendo a Palazzo Borbone alla testa di varie diecine di deputati e all’insegna di motti antipolitici ovvero qualunquisti. E contribuendo così ad aggravare una crisi anche politica superata alla fine solo con il ritorno al potere del generale de Gaulle, la “riserva della repubblica” ovvero l’ “uomo forte” che qualcuno invoca oggi anche per salvare l’Italia dalla perdizione.

Poi mi sono reso conto che le analogie tra il poujadismo e il movimento Cinque stelle sono meno sostanziose delle diversità, compresa quella derivante dalla superiore capacità di presa del secondo sull’elettorato. Sulla base dei sondaggi non si esclude infatti che possa arrivare addirittura al 20%, lasciandosi alle spalle formazioni più grosse o più accreditate, e prestandosi quindi al paragone, semmai, con un altro recente mattatore sulla scena transalpina, quel partito lepenista uscito un po’ ridimensionato solo dalle ultime elezioni.

Va tuttavia precisato che il poujadismo e il lepenismo godevano o godono in Francia solo del favore dei loro rispettivi affiliati, sostenitori o simpatizzanti dichiarati, mentre per le altre formazioni politiche più o meno tradizionali costituivano o costituiscono uno spauracchio, una minaccia più o meno temibile e allarmante, comunque qualcosa di decisamente negativo. Del grillismo in Italia non si può dire lo stesso. Anche chi non apprezza l’oratoria, il frasario, insomma lo stile del suo creatore e animatore, e/o rimprovera al suo movimento le carenze agli effetti costruttivi, spesso se non sempre conviene almeno sul fatto che la sua comparsa non debba suscitare brividi di terrore bensì vada accolta come qualcosa persino di salutare per ciò che significa e per i positivi contraccolpi che, a rigore di logica, dovrebbe provocare.

Per quanto qualunquistico e demagogico, “antipolitico” o nichilistico, culturalmente sprovveduto e programmaticamente inconsistente possa apparire, e magari sia davvero, un simile movimento, anche tutte le sue pecche vanno pur sempre rapportate al contesto in cui è nato e si muove. Ovvero, in primo luogo, alla situazione in cui versa il paese interessato nonché al bilancio, alle credenziali e ai comportamenti delle forze politiche che l’hanno finora governato. Se c’era bisogno di una conferma, l’attuale campagna elettorale, francamente desolante  e non di rado indecorosa, ha confermato che tutti questi indici difficilmente potrebbero essere peggiori. Una situazione, insomma, tale da rendere sacrosanta, benemerita e indispensabile un’energica reazione anche di sola protesta ovvero puramente distruttiva.

La reazione del Cinque stelle, del resto, non lo è, benchè alcune sue proposte e iniziative sicuramente valide e meritorie (come la rinuncia esemplare a beneficiare di stipendi assurdamente lauti elargiti da regioni e altri enti di governo ai rappresentanti del popolo) siano controbilanciate e magari sopraffatte da altre insensate e potenzialmente deleterie (come il referendum per sbarazzarsi dell’euro o la soppressione di Equitalia). Il movimento, comunque, sta già avendo modo di svelare eventuali capacità costruttive grazie ai clamorosi successi ottenuti a livello locale e a quelli che si appresta a cogliere in sede centrale. E poiché esso sta altresì acquistando dimensioni di massa, si direbbe che le maggiori attese dovrebbero concentrarsi non sul suo capo carismatico o sull’eminenza grigia che lo affianca ma piuttosto sul personale più o meno anonimo che opera sul campo e che nei singoli casi già potuti osservare non sembra assomigliare molto al modello di vertice.

Ammettiamo pure, tuttavia, che non sia proprio il caso di aspettarsi troppo, che sarebbe una straordinaria sorpresa se il comico genovese o chi per lui rivelasse insospettabili doti di statista, se smentisse clamorosamente le previsioni di osservatori incauti come già Ronald Reagan. O se, addirittura, dimostrasse di saper adempiere lui ad una missione salvifica simile a quella di Gaulle nella Francia destabilizzata anche da Poujade, oltre che dalle guerre coloniali, anziché limitarsi a spianare indirettamente la strada all’avvento di un emulo italiano del generale con la croce di Lorena sul petto e la grandeur nel cuore. L’Italia odierna è una malata molto più grave della “sorella” transalpina di allora e il suo salvataggio da parte di un outsider tra i più inopinati costituirebbe un autentico miracolo, che non si può mai escludere ma sul quale non può seriamente contare neppure chi magari crede ancor oggi nel mitico “stellone”.

Occorre già una buona dose di ottimismo per confidare che Grillo e i suoi riescano a dare almeno la sveglia al paese, a smuovere quella che è o dovrebbe esserne la classe dirigente dalla sua incredibile cecità, insensibilità e inerzia. A provocare, soprattutto, quella mobilitazione della società civile tanto evocata e invocata da varie parti, ma finora più che altro nella retorica elettoralistica di ogni parte, e indispensabile tuttavia per qualsiasi soluzione duratura, non improvvisata né superficiale, dei mali nazionali.

Che una simile funzione il movimento Cinque stelle la possa svolgere sembra comunque legittimo quanto meno augurarselo, e a sperare che questo mezzo miracolo si avveri incoraggia un dato tra i pochi non deprimenti offerti dalla contabilità politica di questi giorni. Dai conti firmati Mannheimer apprendiamo che la creatura di Beppe Grillo raccoglie quasi il 19% dei consensi tra i giovani di età tra i 24 e i 25 anni, superata soltanto,ancorché largamente, dal PD (31%). E che sale addirittura al primo posto, col 30% e rotti, nelle preferenze degli ancora più giovani (18-23 anni), distaccando sia pure di poco lo stesso PD.

Che dire? Ammesso che il tutto venga all’incirca confermato dal responso delle urne, è doveroso ipotizzare che le risorse istrioniche e la carica vitalistica del comico-nuotatore-arruffapopolo pesino in una certa misura (evito di proposito l’ormai dilagante “in qualche modo”) sulle valutazioni delle due classi più giovani di elettori. Ma anche altri dati alimentano la fiducia che non sia questa l’unica né la principale spiegazione. Vitalismo e istrionismo, come sappiamo, non fanno difetto, quanto meno al vertice, neanche al PDL, che però entrambe le graduatorie citate danno irrimediabilmente relegato al terzo posto. Un partito ruspante come la Lega Nord, che coltiva per sua natura il populismo e non disdegna il turpiloquio, langue appena al di sopra del 2% tra i più giovani e dell’1% dei meno giovani in questione.

Se il centro-destra nel suo insieme, dunque, gode soprattutto del favore dei più attempati, quasi soltanto questi ultimi risultano abbacinati dal miraggio della Padania indipendente. Se è vero poi che i giovani sono tradizionalmente più attratti degli anziani dagli opposti estremismi, ora non appaiono sedotti più di tanto né da quello di destra né da quello di sinistra. A meno che non si consideri senz’altro di sinistra, come si tende generalmente a fare, lo stesso M5S, che però delle varie sinistre in campo sarebbe sicuramente la meno tradizionale e tutto sommato la più sovversiva, se l’abusata qualifica di “antipolitico” che gli si assegna significa qualcosa.

Un’altra possibile obbiezione alla valenza degli orientamenti giovanili è che, invecchiando, i giovani perdono via via le pulsioni rivoluzionarie e palingenetiche trasformandosi spesso in conservatori tutti d’un pezzo quando non ferventi reazionari. E’ altrettanto vero, però, che tutte le generazioni si rinnovano comprese le ultime arrivate, i cui orientamenti possono mutare anche di molto rispetto alle precedenti come sembra stia accadendo attualmente in Italia, sotto la spinta di situazioni oggettive a loro volta così mutevoli, incidendo inevitabilmente sia sugli orientamenti delle generazioni più anziane sia sul complessivo impatto di entrambi.

Il rischio di riesumare involontariamente il “largo ai giovani” caro alla dottrina fascista esiste, come pure quello di passare per corifei del rottamazionismo renzista. Varrebbe tuttavia la pena di correre entrambi se diventasse definitivamente chiaro che soltanto i giovani, non tutti bamboccioni o fiaccati dalla disoccupazione forzata, avvertono l’esigenza pressante di cambiare davvero il paese. O quanto meno la avvertono in misura largamente superiore ai meno giovani, sia pure dimostrandolo attraverso una discutibile adesione al grillismo in mancanza di diverse alternative.

“E’ ora di rigenerare l’Italia”, ci dice un sacrosanto appello recente degli architetti ai politici che non vale solo per la problematica urbanistico-ambientale, anche perché neppure questo settore sarebbe rigenerabile al di fuori del suo contesto generale. E poiché si tratta di un compito di lunga lena oltre che di ampio respiro la sua attuazione è impensabile senza la mobilitazione e il contributo dei giovani, più portati per natura a guardare al futuro e a lavorare per costruirlo. Tanto più quando la fiducia con cui lo guardano i meno giovani viene dimostrata mettendo al mondo sempre meno figli, col rischio in questo caso di far scomparire a lungo andare la materia stessa di cui ci si occupa, spesso senza accorgersene..

Nemesio Morlacchi