“Sarei disposto a fare il ministro degli Esteri, conosco tutti e sono simpatico a tutti”. Suona così la terzultima di Berlusconi, ma cosa sia stata esattamente non è facile dire. Se voleva essere una freddura, una delle tante che l’inesauribile e incontenibile Cavaliere ama raccontare a tutti, potrebbe anche far ridere. Certo più di quasi tutte le altre che, a quanto si insinua, provocano tempestose esplosioni di ilarità solo tra i suoi cortigiani.
Tanto da ridere però non c’è. Almeno, ad esempio, per i numerosi suoi e nostri connazionali che dagli stranieri si sentivano domandare come fosse possibile che un soggetto del genere rimanesse alla guida di una nazione sotto alcuni aspetti persino grande. Di riderne senza troppe remore potevano sentirsela, diciamo fino ad un anno e mezzo fa, gli stessi stranieri, i quali tuttavia devono avere poi cambiato idea, convincendosi che la faccenda era assolutamente se non mortalmente seria (deadly serious, in italiano moderno, per capirci).
Se invece l’esternazione (Corriere della sera del 6 gennaio) voleva essere seria, ci sarebbe di che restare perplessi. Farebbe riflettere, insomma, come concludeva un tempo i suoi articoli un mio defunto collega. Ma vediamo un po’. Quale accoglienza ci si potrebbe aspettare dalla stampa straniera al nostro statista così simpatico, eventualmente autoretrocesso, per spirito di servizio e con l’umiltà che lo contraddistingue, a capeggiare la Farnesina dopo avere spadroneggiato a Palazzo Chigi per tanti anni?
Un caso limite è quello dell’”Economist”, che già in occasione della “scesa” in campo iniziale la commentava intitolando “Burlesquoni”. Fu il preludio di una faida destinata a protrarsi per quasi un ventennio e culminata l’estate scorsa nella conferma in corte d’appello di una condanna dell’ormai ex premier, querelatosi per diffamazione giudicata insussistente, a pagare le spese processuali.
Il vincitore della causa, benchè insospettabile di comunismo, non ha celato in proposito la propria soddisfazione, invitando il perdente a provvedere in contanti (cash will do nicely, Silvio) e a tenere in maggior conto il fatto che durante la cosiddetta era berlusconiana l’Italia è cresciuta economicamente meno di qualsiasi altro paese del mondo salvo Libia e Zimbabwe.
Inutile riferire, qui, i commenti del settimanale londinese alla seconda scesa in campo della sua bestia nera. Da annotare invece che un suo parente stretto, il “Financial Times”, dopo avere pubblicato nei giorni scorsi un alquanto sorprendente attacco a Mario Monti, definito inadatto a guidare l’Italia fuori dalla crisi, ha sentito il bisogno di precisare, pur ribadendo critiche e dubbi, che l’attuale premier e Pier Luigi Bersani sono persone credibili mentre Berlusconi “ha portato il suo paese sull’orlo del precipizio fiscale”.
Per il resto il Regno unito, tra i paesi alleati e più e meno amici del nostro, è quello che ha avuto meno occasioni e motivi per dolersi del personaggio, a prescindere dall’irritazione della sua regina quando l’Inesauribile nonchè Incontenibile si produsse nel gioco del cucù tra le colonne di Buckingham Palace (who is screaming?come on…).
Anche al livello ufficiale più elevato i suoi rapporti con gli Stati Uniti sono stati a lungo ugualmente tranquilli e anzi più calorosi. Sostenitore attivo della seconda guerra contro Saddam Hussein (benchè più di recente abbia dichiarato di avere cercato di dissuadere G.W.Bush dal farla; mah…), il Nostro si pavoneggiava a fianco di Tony Blair e Josè Aznar come uno dei baldi campioni della “giovane Europa”, impegnati a riscattare il vecchio continente dalla codardia franco-tedesca. Dei tre è stato l’ultimo a cadere. Non immaginava, si presume, che quella sarebbe stata smascherata come la più sbagliata delle guerre (anche se Blair giura tuttora che la rifarebbe), voluta da colui che anche per altri motivi si sarebbe distinto come il peggiore presidente americano di sempre.
Se GWB non mancava di ricambiare la simpatia e soprattutto di apprezzare la devozione, l’idillio è continuato per un po’ anche con Barack Obama, abbastanza signore per non prendersela quando l’Inesauribile celiò, magari senza malizia, sulla sua abbronzatura, sollevando corali deplorazioni. Il nuovo inquilino della Casa Bianca era passato apparentemente sopra anche alla pubblicazione su uno dei giornali del Cavaliere, all’indomani dell’elezione, di un suo gigantesco ritratto in prima pagina caratterizzato da un orribile ghigno.
Ma di tutto ciò, forse, Obama si ricordò molto bene quando, con la crisi economico-finanziaria, la situazione peggiorò drammaticamente per tutti e per l’Italia in prima linea. Per il più grosso, cioè, tra i paesi dell’Eurozona minacciati di bancarotta, con un governo traballante e irresoluto e un premier sempre più chiacchierato in ogni parte del mondo per i suoi atteggiamenti irresponsabili oltre che per i suoi spensierati comportamenti privati.
Senza mai criticarlo personalmente, il presidente USA lo fece in modo indiretto ma trasparente con gli omaggi profusi nei confronti di Giorgio Napoletano, sottolineandone non a caso la levatura e autorità morale, e poi colmando di ripetuti elogi e incoraggiamenti Mario Monti, raramente elargiti ad un governante straniero di fresca nomina. In ciò imitato, con minore cautela, dal suo ambasciatore a Roma, e spalleggiato a tutto campo e a piene lettere dalla stampa e pubblicistica americane, compreso alla fine anche il “Wall Street Journal”, che aveva a lungo mostrato indulgenza, se non dichiarata preferenza, per il Cavaliere prima e dopo il suo disarcionamento.
Basti citare un solo esempio. Nel fatidico novembre 2011 il settimanale “Time” presentava in copertina il faccione sorridente del Nostro accompagnato dalla seguente didascalia: “L’uomo dietro l’economia più pericolosa del mondo – Come il premier italiano uscente ha messo a repentaglio l’Unione europea e perché non chiede scusa” (and why he is not sorry). E’ il richiamo ad un articolo che nel sottotitolo definisce Berlusconi infamous leader, laddove l’aggettivo inglese significa “famigerato” ma anche proprio “infame” o “scellerato”. L’autrice, l’editorialista economica Rana Foroohar, oltre a spiegare come e perché un default dell’Italia rischiava di affondare l’intera economia mondiale, precisava che “Berlusconi non è la causa dei problemi italiani, ma la sua leadership inetta li ha certamente aggravati”.
Tornando al di qua dell’oceano, è appena il caso di rammentare i celeberrimi sorrisini di Nicolas Sarkozy e Angela Merkel, quest’ultima fatta segno, dopo un’analoga esperienza della presidentessa finlandese, a considerazioni estetico-erotiche dell’Infamous quasi eleganti come le cene di Arcore. E solo un cenno merita il recente quanto clamoroso episodio dell’accoglienza trionfale riservata a Monti dallo schieramento dei partiti popolari europei relegando moralmente in un angolo il confratello presidente del PDL presentatosi alla tribuna del PPE dopo avere provocato le dimissioni del premier “tecnico” nonché preannunciato-smentito-riannunciato la propria ridiscesa in campo.
L’insolito evento non ha solo riportato d’attualità l’altra faida ormai vecchia con Martin Schultz, il socialdemocratico tedesco, oggi presidente del parlamento europeo, divenuto celebre per avere criticato Berlusconi nell’aula di Strasburgo ed essere stato rimbeccato col paragone ad un kapò dei lager nazisti. Sulla sua scia se n’è aperta o profilata un’altra ancora con il francese Joseph Daul, capogruppo parlamentare del PPE, che dopo avere criticato anch’egli l’ex premier italiano, in particolare per la sua recente svolta antieuropeista, si è spinto fino a designare apertamente Monti come unico candidato premier dei popolari europei in lizza nelle prossime elezioni. Sollevando così le ire funeste di tutto il PDL, venendo formalmente smentito dai massimi dirigenti dello stesso PPE ma confermando comunque da quale parte sia schierato il centro-destra della UE.
Berlusconi, dal canto suo, non si è ancora spinto fino a dichiararsi vittima di un complotto internazionale che, a giudicare dal numero e dalla varietà di tutti i presumibili partecipanti, dovrebbe essere pressocchè universale, davvero troppo per risultare credibile. Continua tuttavia a denunciare una campagna a lui ostile di quella che chiama “stampa internazionale di sinistra”, cioè non proprio comunista ma quasi, della quale risulta alquanto arduo individuare o anche solo ipotizzare gli ispiratori. A meno di non congetturare che una nuova e più moderna internazionale proletaria non si lasci manipolare dall’eterno nemico di classe, incarnato come sempre da Wall Street che sta dietro anche ad Obama, dalle banche francesi e tedesche avide di profitti a spese dell’Italia, dagli gnomi di Zurigo che sognano magari di staccare il prospero e laborioso nord dal resto del paese per dissanguarlo e arricchire ulteriormente i proprio forzieri.
Si dà infatti il caso (citiamo ancora qualche esempio) che il tedesco “Die Zeit” (27 dicembre 2012) includa Berlusconi in una nutrita lista di personaggi di cui si augura l’uscita di scena nel 2013, sia pure “senza eccessivo spargimento di sangue”, perché così “sarà un anno buono” (Es wird ein gutes Jahr werden). La lista comprende fra gli altri Bashar Assad e Ahmadinejad, Kim Jong Un e Mugabe, Janukovic e Lukascenko, Putin e Murdoch. E l’augurio è condiviso, quanto agli gnomi, dall’elvetico “Neue Zürcher Zeitung”, anch’esso voglioso di registrare un ritiro a vita privata dell’”eterno buffone” (ewige Clown), come l’ha qualificato in una nota a fine d’anno.
Occorre altro per dimostrare quanto siano imponenti le credenziali del nostro eroe come eventuale responsabile dei rapporti con l’estero del nostro paese? No, non credo, benchè mi si possa rinfacciare che esiste anche l’eccezione Putin. L’amore per il quale, apparentemente ricambiato di cuore come quello per GWB, contribuisce però non poco ad alimentare l’avversione di tutti gli altri. Non resta allora che una conclusione. Siamo praticamente al “molti nemici, molto onore” di buona memoria, e agli eventuali smemorati, propensi ad esaltare il nuovo campione dell’orgoglio nazionale e della ribellione alla perfidia dello straniero, va solo rammentato come è finita la volta scorsa.
A questo punto, comunque, il turbinoso succedersi degli eventi mi obbliga a prendere atto che anche l’Incontinesauribile deve averci ripensato, chissà se sua sponte, per rispettoso consiglio di qualche amico o semplicemente perché solo i mediocri non cambiano mai idea; e questo non è proprio il suo caso.
Sta di fatto che, scartando quasi su due piedi l’ipotesi Farnesina, ha optato decisamente per il dicastero dell’Economia, e non ha più deflettuto, che si sappia, da questa più meditata scelta neppure dopo che il suo ex braccio destro, poi quasi nemico ma infine ancora un po’ alleato Giulio Tremonti ha prontamente osservato che gli sarebbe più confacente il portafoglio delle Attività produttive. Certo (abbiamo già visto del resto cosa ne pensino oltre confine) non può esserci dubbio che neppure Monti sia riuscito a rovinare completamente nel giro di un anno tutto quanto di buono il suo predecessore aveva fatto, proprio in campo economico, nel precedente ventennio: un’opera più duratura del bronzo.
Solo una naturale modestia deve averlo spinto a lamentarsi di non avere potuto fare tutto quello che avrebbe voluto a causa dei pochi o nulli poteri assegnati al capo (si fa per dire) del governo italiano dalla Costituzione catto-comunista, oltre che per colpa dei traditori, dei magistrati, ecc. Fortunatamente, per scongiurare pericolose perplessità nel paese, un provvidenziale soprassalto di sincerità l’ha indotto ben presto ad ammettere di avere puntualmente mantenuto tutte le promesse fatte sin dall’inizio.
E pazienza se insiste ad assicurare in TV e alla radio che il PIL italiano non è quello che appare da tutte le statistiche bensì quello sottaciuto a bella posta dalle canaglie e dai congiurati di ogni etnìa; quello cioè, molto più cospicuo, che tiene conto anche di quanto si produce in nero. Pazienza, insomma, se ignora o dimentica che questo prezioso apporto viene già computato ufficialmente dai tempi di Craxi, consentendo uno storico benchè effimero sorpasso della Gran Bretagna. Nessuno è perfetto, neanche Lui.
Registrata, dunque, e archiviata col debito compiacimento anche la penultima di Berlusconi, resta solo da attendere con fiducia l’ultima sul medesimo tema, che sicuramente non ci verrà negata. Manca ancora un mese, mentre scriviamo, alle elezioni che riveleranno l’esito della sua più recente e più impegnativa impresa. Potrebbe persino vincerle, dati i precedenti, benchè sia generalmente ritenuto più probabile che le perda. Ma anche in caso di sconfitta sarebbe davvero e per sempre fuori gioco?
Un anno fa la già citata Rana Foroohar, dopo averne detto peste e corna e conseguentemente salutato con sollievo l’uscita da Palazzo Chigi, ammoniva a non fidarsi troppo: don’t count him out till the fat lady sings, che all’incirca vale “non dire gatto se non l’hai nel sacco” in italiano antico ovvero trapattoniano. In effetti la signora grassa ha continuato e continua a cantare, e tra qualche mese, chissà. Con i competitor (=concorrenti) che si ritrova lui, e con la collaudata disponibilità del paese a farsi da lui abbindolare, magari ce lo ritroveremo noi al Quirinale come garante e leader morale di una grande coalizione per l’unità nazionale nell’arco costituzionale. Escludendo, cioè, i grillini, così che imparino a tagliarsi di due terzi le paghe elargite da Stato e regioni. La speranza comunque è l’ultima a morire, beninteso.
Nemesio Morlacchi