Nicola Costantino, Rettore del Politecnico di Bari, ha individuato una virtù ingegneristica aggiuntiva delle masserie pugliesi, una delle sette (sette volte sette) meraviglie del mondo: “Molti particolari costruttivi e compositivi un tempo poco studiati, o frettolosamente liquidati come scelte di carattere tecnologico o estetico, appaiono oggi come il risultato di empirici affinamenti progettuali tendenti ad ottimizzare il funzionamento micro e bioclimatico degli organismi edilizi (…) La (ri)scoperta di come si possano ottenere condizioni climatiche ottimali in termini quasi esclusivamente passivi grazie al sapiente equilibrio di ventilazione naturale, inerzia termica, differenti valori di trasmittanza dei materiali trova così oggi nelle masserie fortificate di Puglia altrettanti laboratori di analisi e ricerca, che possono svolgere un ruolo fondamentale nella formazione dei giovani architetti e ingegneri. Un’ulteriore conferma dell’attualità culturale, ma anche scientifica ed economica, di questo grande patrimonio architettonico, da conservare e volgarizzare insieme”. In parole povere: chiunque abbia vissuto qualche settimana in un edificio tradizionale pugliese, magari modesto ma con volte a botte, muri di tufo da un metro di spessore e collocazione ventosa, ha constatato che quegli ambienti sono quanto di più gradevole col caldo, a condizionatore spento. D’inverno è lo stesso: superflui i termosifoni, e i camini, delle masserie come delle modeste ‘lamie’, nobilitano l’abitare.
Le considerazioni specificamente professionali/accademiche del rettore Costantino sono a presentazione di un nuovo libro di Antonella Calderazzi, docente di architettura al Politecnico barese: “Puglia fortificata: le Masserie”, Bari, Mario Adda editore, 2011, 352 pagine di grande formato sontuosamente illustrate dalle foto, spesso sensazionali, di Nicola Amato & Sergio Leonardi. A parere nostro, “Puglia fortificata” è uno dei ‘coffee-table books’ più utili, nel senso di meno frivoli e di più rivelatori, pubblicati negli ultimi anni. La formula editoriale aggiunge importanza, se ce ne fosse bisogno, al lavoro culturale che l’Autrice svolge da alcuni decenni. La castellografa Calderazzi si è qualificata come vera e propria scopritrice del sistema masseriale in quanto risorsa specifica della Puglia, senza competitori diretti. Con le debite eccezioni, nessuna regione italiana vanta qualcosa che possa concorrere direttamente con l’assieme di molte centinaia di grandi masserie pugliesi. Il libro si basa su 600 schede, molte delle quali riguardano complessi che in realtà sono castelli. Le fattorie toscane e venete, le maggiori cascine della pianura lombardo-piemontese sono ‘a volte’ monumenti d’architettura e vere e proprie concrezioni urbanistiche. Le grandi masserie pugliesi sono queste cose ‘quasi sempre’, naturalmente grazie anche a fattori paesistici e ambientali che fanno l’incanto del Sud. Un precedente lavoro della Calderazzi ci era parso tale da fare di lei una sorta di Viollet-le-Duc, ripropositrice di grandi acquisizioni passate -dunque presenti- dello spirito. Il gotico dell’architetto e teorico francese ci sembra corrispondere al ‘linguaggio masseriale’ che la studiosa barese sta facendo conoscere e valorizzando.
Questo secondo libro sulle masserie, anche per il suo concentrarsi su quelle fortificate, mette a punto una serie di aspetti che si aggiungono a quelli messi in luce dalla presentazione del professor Costantino. Per esempio le masserie, irresistibili quali architetture, residenze e pastorali shangri-la, ci dicono anche la forza e la protervia dell’antica organizzazione feudale-latifondistica delle campagne meridionali. Più era esteso l’organismo cerealicolo-zootecnico, più era cospicua l’azienda vitivinicola e olearia, più erano monumentali le masserie: con gli inevitabili risvolti di tranquilla ferocia classista. Un provvido duca Pignatelli volle costruiti anche i letti per i braccianti-pastori: blocchi di pietra a castello. Rievocava con nostalgia un principe, membro di una casata baronale di grande nome, che i Pignatelli, alla pari della sua stessa famiglia, mantenevano eserciti privati, con i dovuti armamenti, che “impensierivano i Borboni”. E uno storico moderno, nel descrivere l’organizzazione del palazzo ducale di Martina Franca, utilizzava frequentemente la categoria di ‘corte’: musicista di corte, cappellano di corte, ecc.
Fino a tutto il Settecento era rara una masseria ‘da campo’ o ‘da pecore’ che non sorgesse su un latifondo nobiliare. Però i gran signori non erano soli a possedere masserie monumentali: anche ordini religiosi, badie, capitoli di ricchi canonici, non di rado prelati e singoli religiosi i cui discendenti spesso possiedono ancora oggi terre, case, stalle e ‘iazzi’ (recinti ben più superbi dei corrals del New Mexico). La masseria Torre Alemanna fu fondata nel XII secolo addirittura dai Cavalieri Teutonici: ma gli Ordini militari erano ben altra cosa che i Mastri Don Gesualdi che così spesso compravano le terre di monasteri, di mense vescovili e di nobili rovinati dal lusso, dall’ozio e dai costi del prestigio. Quelle spose che portavano in dote ai mariti ufficiali della Guardia a Napoli o a Caserta difficilmente si curavano del conforto dei letti bracciantili.
La lunga ricerca di Antonella Calderazzi (600 schede di altrettanti possessi) si concentra soprattutto sugli edifici fortificati, che in numerosi casi condividono l’orgoglio e l’assertività dei castelli. Soprattutto le masserie del Salento sono contraddistinte da apprestamenti difensivi contro la minaccia di pirati che venivano dal mare. Invece nella Puglia settentrionale le aziende si difendevano dalle bande del brigantaggio. Manco a dirlo, le masserie diciamo così ‘da guerra’ sono a volte le più prestigiose ed eleganti. Di conseguenza sono anche quelle che si sono trasformate con più smalto in agriturismi sofisticati e costosi.
Tutto il libro di cui parliamo è attraversato, oltre che dalle esegesi architettoniche, anche dalle notazioni economiche e sociali: le bonifiche e le riforme agrarie, l’eversione della feudalità, l’emigrazione transoceanica che nei vicini anni 50 e 60 provocò l’abbandono e il degrado fisico di molte masserie; più ancora, la sapienza costruttiva e la ‘arguzia’ delle maestranze locali. Non avrebbe potuto trascurare l’agriturismo. Sono sorti centinaia di alberghi di campagna che fanno un settore economico un tempo inimmaginabile. L’agriturismo, rileva l’Autrice, è l’unica fonte di finanziamento per le masserie. In molti casi ha soppiantato, osserviamo noi, il ruolo della transumanza, della ‘mena delle pecore’.
Le masserie non sono solo bellissime, spesso raffinate. Sono anche funzionali alle vacanze marine, alle villeggiature confortevoli, agli stati di grazia. Nessun hotel cittadino offre gli agi mentali delle masserie e in più, perchè no, la facilità del parcheggio, l’affrancamento dal condizionatore d’aria, la protezione dal caldo, dal freddo e dai rumori rappresentata dai muri delle masserie, spessi a volte vari metri. E’ quanto additava nell’incipit il rettore Costantino: “Condizioni climatiche ottimali in termini quasi esclusivamente passivi”: tra l’altro la ventilazione costante, il tufo e altri materiali usati da millenni. Lo sanno quanti hanno vissuto almeno un po’ sotto quelle volte: condizioni abitative semiparadisiache. Antonella Calderazzi ci mostra un sentiero in più per una felicità che è anche la gratificazione di soggiornare in quelli che chiama “serbatoi di memoria, documenti irripetibili”.
Diego Marinaro