ORAZIO PIZZIGONI: CRISI DEI PARTITI CRISI DELLA DEMOCRAZIA E’ VERAMENTE COSI’?

La democrazia è in crisi. Tutti si stracciano le vesti. Accusandosi a vicenda per lo stato comatoso dei partiti, che della democrazia moderna sono la struttura portante. Per non parlare del cosiddetto centro, di cui Casini si è arrogato la rappresentanza; egli si tira fuori della questione e non si capisce perché. Nessuno offre una soluzione. Una crisi allora senza speranza? Siamo arrivati alla fine di un’epoca? La democrazia moderna chiude qui il suo ciclo vitale? Al di là delle ripicche che dominano la vita politica, gli approfondimenti sulle ragioni della crisi sono pressoché inesistenti. La verità è che essa ha ragioni lontane. Affonda le sue radici nella seconda guerra mondiale, che mise alla prova le vecchie logiche democratiche segnalandone, di fronte all’irruzione sulla scena delle grandi masse popolari, le insufficienze e i limiti. La partecipazione attiva di milioni di civili alla lotta contro il nazismo e il fascismo ha modificato i vecchi assetti istituzionali. La delega, considerata strumento esclusivo della democrazia secondo le vecchie logiche di potere, ha mostrato la corda. Chi si era impegnato, in armi o no, contro le concezioni autoritarie di nazismo e fascismo, chiedeva, in termini più o meno precisi, di poter essere protagonista anche in tempo di pace. Ma come? Utilizzando quali strumenti? Facendo riferimento a quali progetti?

Nessuno disponeva di progetti. Né a destra, né a sinistra. Mancanza di intelligenza politica? Scarsa fantasia istituzionale? Al di là delle insufficienze delle forze politiche, la crisi metteva allo scoperto un problema più profondo. Quello della sofferenza non di questo o quell’aspetto ma della medesima logica di potere che in passato risultava funzionale alle classi dirigenti, le quali selezionavano chi assumeva posizioni di responsabilità. Attacco non a questo o a quel caposaldo, ma al cuore del sistema stesso. L’adeguamento della democrazia moderna alle nuove esigenze delle società uscite dalla guerra implicava un passaggio verso nuove forme di rappresentanza, che richiedevano un salto di qualità nel senso della partecipazione. Ed è proprio sulla partecipazione che la democrazia, così come concepita sin lì, manifestava i suoi limiti organici. Di qui il disagio che ha pervaso quasi tutti i paesi, in modo particolare nella vecchia Europa. Un disagio che si va estendendo e rende vani (o quasi) gli aggiustamenti, i rattoppi, gli interventi chirurgici ora qui ora lì. Che fare allora? Quali le prospettive in un mondo che reclama in termini sempre più precisi ed estesi il coinvolgimento della società civile? Sono i quesiti che tormentano il nostro tempo. Destinati ad aggravarsi se non troveranno risposte.

Orazio Pizzigoni

 

PIU’ INVESTIMENTI  PIU’ DISOCCUPAZIONE?

L’idea, accettata da quasi tutti, che basti investire per ridare fiato all’economia, si scontra con una verità solare: che gli investimenti si fanno (quasi) sempre col proposito di ridurre i costi di produzione, con particolare riguardo per quello del lavoro. Più macchine e più innovazione significano organici più magri. Nell’Inghilterra del Settecento gli operai reagirono distruggendo le macchine. Siamo di fronte al medesimo dilemma? Direi di no. Ma certo è impossibile negare che gli investimenti, invocati come la panacea, comportano la drastica riduzione dell’occupazione. Allora non ci sono prospettive per lo sviluppo? La disoccupazione è la sola alternativa alla crisi? Che dobbiamo metterci l’anima in pace e accettare le ferree leggi del mercato.? No. Bisogna cercare nuove strade, scatenando la fantasia e l’intelligenza. Mi domando per esempio se una di queste strade non sia rappresentata (aprendo una nuova fase epocale) dalla riduzione dell’orario di lavoro: da otto a sette ore, e quindi via via a sei, a cinque. Secondo filosofie che tengano conto dei mutamenti intervenuti in tutti i campi.

o.p.