SE NON COMBATTE LA CRESCITA LA NOSTRA CULTURA E’ INUTILE

Gian Arturo Ferrari ha invocato un futuro “diverso dalla crescita senza fine” con un articolo che ‘Corriere della Sera’ (18 0ttobre ’12) ha intitolato “La crisi è il momento della verità: la nostra cultura serve a qualcosa?”. Ecco i paragrafi salienti:

“Forse questa non è una crisi, è qualcosa di molto diverso, di molto più profondo. Forse quel che abbiamo di fronte è la fine di un ciclo, di un’epoca. Il mondo che tramonta, sotto la cui legge -la crescita ininterrotta- siamo tutti vissuti, era iniziato attorno alla metà del secolo scorso, quando nel lampo calcinante di Hiroshima e nei fumi di Auschwitz si era consumato il mondo precedente. Era stato quello un mondo incomparabilmente più povero del nostro, violento nella sua essenza, crudele. Un piccolo mondo atroce. Ma nello stesso tempo (e forse non senza un nesso) una delle più alte vette di genio, di invenzione, di bellezza della storia umana, come il V secolo ateniese o il Rinascimento italiano. Il sublime nel sangue dei massacri.

Sulle sue rovine è nato il nostro mondo, quello che abbiamo sin qui conosciuto, dominato dal ribrezzo per la guerra; dall’abbandono delle ardue vette del pensiero per le più agevoli pianure della tecnologia; e soprattutto dalla risoluta volontà di stare meglio, dunque dalla fame di benessere, di prosperità, di ricchezza. Una fame esaudita, quasi miracolosamente e al di là di ogni più rosea aspettativa, aprendo così il periodo più felice, almeno sotto il profilo economico, dell’intiera storia umana. E generando la falsa idea, cioè l’ideologia, che la crescita ci sarebbe sempre stata, sempre maggiore e sempre più accelerata, altro che limiti allo sviluppo! Poi qualcosa si è inceppato e nessuno ci ha mai saputo spiegare bene che cosa.

L’ultimo rifugio è il pensiero che la fine è stata annunciata tante altre volte, ma poi non è successo niente. Nel 1973 con la crisi energetica dopo la guerra del Kippur. Nel 1989, con la caduta del Muro, quando venne proclamata la fine non solo del comunismo, ma addirittura della storia. Nel 2001, quando, dopo le Torri, fu autorevolmente detto che finiva il mondo degli stati sovrani. Di tutte queste catastrofi non abbiamo particolarmente sofferto. Ma questa volta non sarà così facile uscirne. Questo è il momento della verità, il momento di vedere se tutta la nostra cultura, in particolare quella economica, serve a qualcosa, se riesce cioè a spiegare, senza drammi ma anche senza pie menzogne, quel che sta succedendo. Ed è anche il momento di sapere se avremo la forza di pensare e di creare un nuovo futuro, diverso dalla crescita senza fine in cui ci siamo illusoriamente cullati”.