Gli opinionisti importanti hanno smesso di disprezzare l’antipolitica. Ne sono costernati. Anticipano che la coprorepubblica andrà dove addita la Sicilia. Non dicono ancora abbastanza apertamente che, se i Vespri Siciliani del 1282 massacrarono gli occupatori francesi, scacciarono quelli che non scannarono e dettero l’isola a Pietro III d’Aragona, i Vespri del 2012 hanno avviato il crollo del sistema finora tenuto in piedi dagli ukase omertosi della Corte costituzionale. Come vedremo a parte -v. in questo Internauta “Almeno la rivoluzione menscevica di Michele Ainis”- l’unico autentico difensore del regime è un demolitore, Ainis.
Al grido da Vespri “Non resta che la rivoluzione”, Ainis propone di consegnare una delle Camere a cittadini “scelti a caso dal sorteggio”. Lo chiamiamo l’unico difensore del regime in quanto, se il 9 giugno 1940 una congiura avesse abbattuto Mussolini e scongiurato l’intervento in guerra, oggi il potere fascista festeggerebbe i 90 anni, e i tromboni della democrazia, da Scalfari in giù, avrebbero fatto carriere tutte fasciste. Anche perché il Regime degli orbaci neri avrebbe operato aperture qua e là, alla Caudillo e alla Fraga Iribarne. Ainis salva sul serio la Casta ingiungendole di mollare metà del Parlamento e di accettare in parte il sorteggio al posto delle elezioni, spogliatrici della sovranità popolare.
A valle dei casi di Sicilia gli editoriali d’allarme e i commenti luttuosi sono centinaia. Dicono che il crollo della partecipazione al voto è una sciagura, però arrivano a suggerire che la gente non voti alle politiche, perché non voti per Grillo. Danno per certo nel 2013 il 20% alle 5 Stelle, con conseguenti ingovernabilità e default. Un opinionista perfido ha aggiunto al 53% di astenuti un 7%, più o meno, tra schede messe nelle urne, però bianche o nulle (queste ultime, in genere, lardellate di maledizioni e oscenità all’indirizzo dei bonzi della democrazia); sicché i nemici dichiarati del sistema raggiungono in Trinacria il 60%. Ma allora, diciamo noi, andrebbe contabilizzato il mare di elettori che hanno sì votato, ma turandosi il naso, trattenendo il vomito e in più odiando i padroni da cui non hanno il coraggio o il senno di affrancarsi. Risulterà così una percentuale di fautori della partitocrazia non molto lontana da quel 4-5% che rilevazioni di alcuni mesi fa accreditavano alla classe politica.
Non facciamoci accecare dall’ottimismo. L’Al Capone collettivo che delinque dal potere non è ancora finito a Sing Sing. I nostri parlamentari hanno ancora il vitalizio dopo un solo mandato. Quelli con venti e trenta anni di carica sono altrettanti Cresi del denaro scroccato o rubato. C’è ancora, eccome, il pericolo che mettano uno di loro al Quirinale. Non illudiamoci che siano le urne a liberarci. Per ora non ci rimane che leggere con finta compunzione gli opinionisti che difendono l’ordine costituito (però si preparano a inneggiare all’eversione).
“Il senso perduto dell’emergenza” si intitola l’editoriale di P.L.Battista (Corriere 31 ottobre). Deplora: “I partiti non hanno capito che un astensionismo rivendicato così esteso è un segnale di rivolta. Che siamo prossimi al ripudio globale. Che manca pochissimo per raggiungere il livello più basso della credibilità dell’intero sistema dei partiti (…) Essi stanno diventando la fabbrica del qualunquismo nazionale, di un disprezzo tanto globale. In Sicilia si è rotto un tabù. Finora l’astensionismo è stato visto come disaffezione contenuta. Ma in Sicilia la disaffezione ha voluto parlare. L’ultima chiamata: ecco il messaggio siciliano”.
Elenco dei trapianti d’organi che Battista prescrive per allontanare la fine: ‘ridurre al minimo i finanziamenti ai partiti; ridimensionare le Province; calmierare le spese delle regioni; fare una legge elettorale decente’. Abbiamo così la prova che anche Battista, alla testa dei Giornalisti-per-il-Vecchio, ha perso il senso dell’emergenza. Il suo cataplasma è tardivo, e forse non ci sarà. La ‘legge elettorale decente’ varrà meno di zero per fermare il banchetto dei Proci. Il peggio non sarà scongiurato. La situazione resterà quella della vigilia dello sbarco nemico in Sicilia. Michele Ainis, solo ipovedente in una terra di ciechi, addita la salvezza in una prima rottura vera, in un ripudio della Costituzione-manomorta: “Non resta che la rivoluzione”.
Il Colle e i Monti potranno sforzarsi di accontentare alquanto P.L.Battista (non Ainis) ma nulla più, e falliranno. Per salvare la ‘loro’ repubblica dovrebbero almeno trovare il coraggio cui si costrinsero re Vittorio e Badoglio il 25 luglio 1943: correndo rischi, arrestarono Mussolini. I Due che gestiscono a Roma dovrebbero arrestare i capi e vicecapi della Nomenclatura; salvare a sorteggio 200 parlamentari e deporre tutti gli altri. Dovrebbero affamare le Istituzioni fermando ogni pagamento a loro favore. Per prudenza dovrebbero allertare i corpi militari più efficienti. In ogni caso dovrebbero agire nella certezza che il Paese esulterebbe, che i gerarchi spodestati si accoderebbero. Andò così il 26 luglio 1943: sollievo, tripudio generale. Non un ‘moschettiere del Duce’ osò qualcosa. Non un uomo di ‘Repubblica’ protesterebbe. Forse Santoro & Lerner fuggirebbero; forse no.
A.M.C.